Questo pubblicato da Il Castello non è “l’ennesimo libro” su David Bowie. Testi di tale pregio non di rado gli editori italiani li cercano all’estero, e li fanno arrivare in traduzione nelle nostre librerie.
Le opere scritte sull’artista, scomparso cinque anni fa, ormai non si contano. Nondimeno, “David Bowie. Tutti gli album” costituisce una guida preziosa per orientarsi in una discografia multiforme, che tornerà utile a chi vorrà esplorarne le fasi, ottenere informazioni essenziali relative a ogni disco o progetto, e capire un po’ più a fondo questa sorta di alieno che ha lasciato una traccia inconfondibile e indelebile nella popular music del Novecento.
Degni di nota la contestualizzazione offerta per le tappe della carriera (le influenze musicali; l’industria discografica e i generi che mietevano successo nei vari decenni); i riferimenti alle scelte stilistiche a cui giunge Bowie, talvolta in linea con i trend del momento, talvolta imprudenti o audaci; il rilievo dato alla tenacia con cui il cantante va incontro agli insuccessi, benché inspiegabili; l’attenzione posta ad aspetti decisivi del percorso da lui intrapreso, come il “trasformismo”, e i mutamenti frequenti alla ricerca di nuove identità sonore (e anche di un riconoscimento da parte del pubblico che tarderà ad arrivare).
Chi si è dedicato con dedizione all’approfondimento dell’artista, e conosce già i contenuti, potrà confrontarsi con analisi di alcune opere che magari propongono punti di vista o riletture inusuali (ad esempio, l’opinione abbastanza diffusa che “Scary Monsters” sia l’ultimo LP davvero irrinunciabile prodotto da Bowie viene confutata, e significativo rilievo è attribuito al di solito snobbato “The Buddha of Suburbia”).
Il libro si consulta agilmente. Inoltre, malgrado la natura (necessariamente) abbastanza sintetica delle schede che esaminano ogni disco, anche il lettore meno esperto dell’argomento è messo nelle condizioni di penetrare adeguatamente nell’‘”Universo Bowie”.
Validissime, a tale fine, osservazioni importanti che ne riguardano la formazione e la visione artistica: l’importanza di Lindsay Kemp; la trasgressione, il travestimento e la consapevolezza di interpretare un ruolo; l’assecondare i gusti musicali che evolvono. Nella parte dedicata alla produzione degli anni Settanta, interessante la messa in evidenza di quanto i testi delle canzoni si discostavano dagli argomenti trattati dalla musica pop, e, più in particolare, di quanto l’utilizzo di frasi prese dal linguaggio gergale statunitense contribuì ad accentuare la sensazione di alterità che Bowie e le sue composizioni trasmettevano al pubblico inglese.
Il volume, pieno zeppo di fotografie, è arricchito da schede su alcuni collaboratori (musicisti, manager, produttori) e da pagine in cui – impresa tanto ammirevole quanto ardua – viene esaminata la valanga di uscite immesse sul mercato, soprattutto negli ultimi anni (edizioni limitate, uscite per il Record Store Day, cofanetti, ecc.).
Un plauso al curatore, e autore di numerosi testi del libro, Francesco Donadio, e ai giornalisti che hanno reso possibile la creazione di un’opera così articolata, e, superfluo sottolinearlo, davvero imperdibile: Antonio Bacciocchi, Eleonora Bagarotti, Jacopo Benci, Paolo Bertazzoni, Marco Braggion, Giandomenico Curi, Mario Giammetti, Mario Giugni, Federico Guglielmi, Renzo Stefanel, Ernesto Tangari
Articolo del
12/05/2021 -
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