Quando una rockstar ed un ex presidente degli Stati Uniti danno vita ad un progetto passato dapprima in una serie di podcast e poi diventato un libro, il sospetto che si tratti di una semplice operazione commerciale sarebbe legittimo. Ma se la rockstar è la la leggenda del rock e l’ex presidente è il primo nero mai eletto alla Casa Bianca, possiamo fugare i sospetti e ad ogni modo saremmo disposti a perdonare volentieri eventuali doppi fini.
Il libro, del quale parliamo, è strutturato in 8 capitoli nei quali Bruce Springsteen, The Boss, e Barak Obama, 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America, divenuti amici durante la campagna elettorale del 2008, affrontano in un dialogo intimo molti temi di attualità in una grande nazione perennemente alla ricerca di una propria identità.
Diverse le loro età e le loro origini: Bruce Springteen, nato a settembre del 1949 in New Jersey, figlio autentico della working class. Suo padre, ex veterano della seconda guerra mondiale, alternava periodi di disoccupazione a lavori precari come tassista, operaio, conducente di autobus, guardia carceraria. E nonostante l’impiego più stabile di sua madre, segretaria in uno studio legale, la famiglia Springsteen si trovava spesso in difficoltà finanziarie, tanto da dover più volte cambiare abitazione. La nostra casa era una delle più vecchie della città ed era piuttosto decrepita. Ma non per questo mi sentivo un bambino povero. Una sera mio padre mi disse: se stasera vogliamo andare al cinema dobbiamo vendere la ruota di scorta. Adolescenza complicata, dunque, quella del Boss, che però viene raccontata con estrema serenità e mai con frustrazione.
Di tutt’altro tenore quella di Obama: classe 1961, afroamericano nato a Honolulu, Hawai. Cresciuto dai nonni materni, che gli permisero di studiare nella scuola privata più prestigiosa dell’isola. Middle class, dunque, con tanto di lauree successive in scienze politiche alla Columbia University e successivamente in legge ad Harvard. Vite lontane, generazioni diverse, un bianco e un nero: apparentemente nessun elemento in comune, se non quello di uno stesso desiderio: quello di rendere il paese in cui vivono meno distante da quello che continua ad essere il sogno americano.
Cosi le due icone danno vita a questo incontro nella fattoria di Springsteen in New Jersey, in cui si interrogano sui cambiamenti avvenuti nel loro paese negli ultimi 70 anni, accompagnando il dialogo con il racconto di episodi personali che rivelano molti punti in comune tra due persone cosi diverse. Uno degli aspetti più interessanti della conversazione è lo “sconfinamento” nel campo dell’interlocutore: Obama che parla di musica e Springsteen che parla di politica. Sotto questo aspetto Obama si dimostra un competente intenditore, svelando di essere cresciuto, dai 10 anni in su, ascoltando le Top 40, dove entravano artisti e gruppi molto trasversali. Quelli da lui preferiti furono Steve Wonder, Jony Mitchell, Bob Dylan e gli Stones, con un orecchio rivolto anche al jazz di Miles Davis e di John Coltrane. Mica male per un adolescente! (a questo proposito guardare nel terzo capitolo del libro, Amazon grace, le pagine 80-81 dove si riporta la classifica dei Top 40 del 5 giugno 1971). D’altronde, che la musica abbia da sempre ricoperto un ruolo importante nella vita di Obama è dimostrato anche dal fatto che, durante la sua presidenza, in molti degli eventi tenutisi alla Casa Bianca, ha organizzato concerti per il pubblico dove si sono esibiti artisti in linea con il tema della serata, tra cui anche Springsteen. Anche questo aspetto è accompagnato, nello stesso capitolo, pagine 92-104, da splendide foto che ricordano le serate e gli artisti che si sono esibiti dal 2009 al 2015, rendendo evidentemente la Casa Bianca un luogo più fruibile dai comuni cittadini.
Molto sofferti sono invece i ricordi di Springsteen nella sua Freehold dell’adolescenza. Negli anni 60 la tensione razziale era altissima, e durante la lunga estate calda del 1967 il brutale pestaggio di un tassista nero da parte delle forze di polizia scatenò rivolte nella popolazione nera che causarono ventisei morti ed oltre 700 feriti. L’apice di quegli scontri fu la rivolta di Newark. Poi la chiusura delle 3 fabbriche della città acuirono una crisi sociale già molto precaria, e nuovi scontri razziali si scatenarono a Freehold dopo una sparatoria ad un semaforo in cui dei ragazzi bianchi spararono con un fucile da un auto verso un’altra auto con a bordo ragazzi neri. Un mio amico perse un occhio. E attorno la città stava morendo!. Ma quella era la sua città, dice Springsteen, che la racconta nella canzone My Hometown. Anche qui il tutto è accompagnato da foto di quegli anni, nel primo capitolo dal titolo La nostra improbabile amicizia. In particolare segnalo le splendide foto in bianco e nero a pag. 22-24 che rendono reale il clima di tensione vissuto in quei luoghi in quegli anni. Di anni ne sono trascorsi oltre 50, eppure l’America sembra essersi tornata lì, se si pensa a John Floyd, ucciso da agenti di polizia il 25 maggio del 2020 e alle successive proteste del movimento Black Lives Matter. I due protagonisti si confrontano poi su cinema, letteratura, sport, evidenziando quelli che sono stati i film, i libri e i campioni che hanno li hanno influenzati nella loro formazione. Emergono cosi lo Spike Lee di Fà la cosa giusta, James Baldwin grande scrittore della letteratura americana nera, e poi naturalmente Muhammed Alì e Jackie Robinson, giganti dello sport che sono stati veri e propri simboli nelle lotte delle minoranze nere. Senza dimenticare altri simboli che, oltre a far parte di diritto della storia collettiva americana, hanno in qualche modo “incrociato” le storie personali dei due interlocutori. Come John Lewis, storico attivista dei Freedom Riders che si battevano per i diritti civili nell’America degli anni 60, discepolo di Martin Luther King, che ebbe il cranio fracassato dalla polizia durante la marcia di Selma (Alabama) nel marzo del 1965, con il quale il presidente Obama ha marciato in occasione del ricordo di quella storica marcia 50 anni dopo, dedicandogli poi un elogio funebre al suo funerale, il 17 luglio del 2020. O come Amadou Diallo, uno studente della Nuova Guinea residente a New York per motivi di studio, che il 4 febbraio del 1999 fu fermato nel Bronx da 4 poliziotti per un controllo. Alla richiesta di mostrare i documenti il ragazzo portò le mani in tasca; lo uccisero sparando 41 colpi di pistola. American Skin è la canzone che il Boss ha composto e dedicato a questo episodio. Canzone che durante i suoi concerti in America ha provocato reazione contrastanti nel pubblico, dove non sono mancati fischi da parte di simpatizzanti delle forze dell’ordine.
Si potrebbe andare avanti all’infinito, tanti sono gli argomenti sviscerati nella discussione proposta in questo libro. Il Vietnam, la conquista dello spazio, i movimenti dei diritti civili, le conquiste delle minoranze, l’America reaganiana degli anni 80, la sanità pubblica e l’istruzione gratuita per tutti. Ma è un libro che va letto, sfogliato, che ripaga nei contenuti e nelle fotografie che ne fanno davvero un gioiello da tenere nella personale libreria. Per continuare a cercare risposte a problemi complessi che, non solo in America, sembrano essere gli stessi da oltre mezzo secolo.
Articolo del
24/11/2021 -
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