Il tempismo scarsissimo con cui recensiamo questa uscita della collana “Director's cut” è inversamente proporzionale al piacere provato quando, in edicola, ne scorgiamo le copertine tra riviste di musica che di mese in mese propongono spesso i soliti noti (Queen, Pink Floyd, Beatles, Led Zeppelin, e via dicendo).
Stavolta vengono prese in esame le opere degli Spacemen 3, e le produzioni successive allo scioglimento del gruppo dei due artefici, Sonic Boom (Peter Kember) e Jason Pierce.
Uno degli aspetti più interessanti del saggio è che l’autore Stefano I. Bianchi, direttore della testata specializzata “Blow Up”, spiega chiaramente, e in maniera dettagliata, le ragioni dell’importanza della band.
Grazie ai loro gusti eterogenei, Kember e Pierce riportarono l’attenzione su artisti e generi da tempo dimenticati, o che non godevano di grande considerazione nell’industria musicale degli anni Ottanta.
In dischi come “The Perfect Prescription”, “Playing With Fire” e “Recurring”, gli Spacemen 3 affinarono uno stile che ibridava minimalismo, Velvet Underground, Suicide, Red Krayola, Sun Ra, country, blues, elettronica e rock creando un linguaggio innovativo e personale, e dando nuova linfa vitale al concetto di musica psichedelica.
Parte cospicua del libro è dedicata alla miriade di progetti in cui si sono imbarcati i due “astronauti” quando le loro strade si sono divise. Bianchi fa un resoconto minuzioso delle numerose incisioni effettuate da Sonic Boom, Spectrum, Experimental Audio Research e Spiritualized, si sofferma sulle collaborazioni con altri artisti, e mette in luce qualità e debolezze di tali produzioni.
Nella giungla di registrazioni degli Spacemen 3 immesse sul mercato, si rivelano estremamente utili (quantomeno per gli estimatori meno agguerriti) le informazioni relative a versioni e titoli diversi, a riletture e pezzi live, e i riferimenti alle altre iniziative intraprese dai protagonisti.
I due hanno scelto orientamenti assai differenti: più sperimentale quello di Kember, che procede verso un suono sempre più astratto e in territori ambient; Bianchi ne elogia soprattutto il suono “galleggiante”, e la capacità di evocare mondi, che raggiunge il culmine nell’album “All Things Being Equal” (2020).
Improntato al soul e al gospel, invece, quello di Pierce, e arricchito da sontuosi arrangiamenti orchestrali in opere quali “Let It Come Down” (2001), che l’autore indica come il “Pet Sounds” del nuovo millennio.
Testo da non trascurare, insomma, “Spacemen 3. Astronauti dello spazio interiore”, omaggio meticoloso a due talenti e all’influenza massiccia da loro esercitata in ambiti quali post-rock, noise psichedelico e musica isolazionista. Pubblicare un saggio del genere oggi, in Italia, è un’operazione sconsiderata. Ma quanto abbiamo bisogno di questa avventatezza…
Articolo del
05/02/2022 -
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