Chiunque conosca Bowie solo un pochino approfonditamente sa del suo interesse mai nascosto e anzi manifesto per esoterismo e vie irregolari al mistero della fede. Già negli anni ’90, agli albori di Internet, esisteva una lunga pagina che proponeva un’interpretazione su base esoterica della sua opera, arrivando anche a stabilire una connessione tra ogni album e una precisa, e diversa di volta in volta, carta dei Tarocchi (esiste ancora: https://www.parareligion.ch/bowie.htm).
Dopo BLACKSTAR e i complessi video che accompagnarono l’addio di Bowie a questa valle di lacrime, fu evidente a tutti l’importanza delle discipline occulte per il compositore di Brixton, tranne a chi non aveva nessuna contezza di ciò o non voleva vedere la realtà. Tuttavia, nonostante il proliferare di siti e discussioni on line, mancava un saggio che si occupasse approfonditamente di questo aspetto dell’opera di Bowie, per quanto già diversi libri di analisi dei testi ne avessero parlato: in Italia Laura Gerevasi nel suo “Le canzoni di David Bowie” (Editori Riuniti, 2005) e ovviamente Francesco Donadio nel fondamentale “Fantastic Voyage” (Arcana, 2013).
È quindi benvenuto questo saggio di Dalila Ascoli dedicato espressamente all’occultismo in Bowie e ai significati che veicola di volta in volta. Sento già i soliti criticoni: ma, trattandosi di discipline poco note per loro natura, chi ci garantisce che non “Il divino alchimista” non sia fuffa e delirio? Io. Che guarda caso mi sono laureato sul linguaggio alchemico. E l’alchimia è forse la principale delle discipline esoteriche, quella cui tutte in qualche modo sono collegate. Quindi posso dirlo con certezza: il saggio di Ascoli è di spessore. Si basa non solo su riscontri precisi nelle opere e nelle dichiarazioni di Bowie, ma anche su una conoscenza corretta della materia. Ho trovato nel libro solo tre pecche, tutte marginali e riguardanti particolari della biografia di Bowie (tipo il primo live degli Hype anticipato di tre anni).
Il saggio, dopo due capitoli che ricostruiscono il progressivo avvicinamento di Bowie all’occulto e il suo essere in bilico tra un vago cristianesimo e un vago Buddismo (“La biografia dell’artista-mago”), passa ad esaminare proprio le tracce della religione orientale nella prima produzione bowiana (“L’ossessione per il buddhismo e il fascino dell’occulto”). Quindi Ascoli procede non in ordine cronologico, ma tematico: si analizza HEATHEN (2022) e la sua critica al secolo senza Dio che ci si è appena lasciati alle spalle (ma tutto nel nuovo continua uguale), con riferimenti a Modern Love (1983), Loving The Alien (1984) come esempi della “Spiritualità tormentata” di Bowie, che lo ha portato più volte alla “rottura col Cristianesimo”, e The Next Day (2013) e alla sua “critica alla religione cristiana”.
Il quinto e il sesto capitolo (“Il primo alter ego”) non possono che parlare di THE RISE AND FALL OF ZIGGY STARDUST (1972), “concept album dalla forte influenza religiosa, in cui i testi delle canzoni si riferiscono strettamente e letteralmente ai Vangeli [...] con una narrazione intrisa da un certo numero di temi giudaico-cristiani”. L’analisi procede, come quasi sempre, brano per brano, comprendendo inediti che completano il disegno dell’opera (come Sweet Head). “L’alchimista del rock” indaga l’influenza su Bowie del grande psicanalista Carl Gustav Jung, autore di “Psicologia e alchimia”, evidente nei temi del doppio (Shadow Man, 1971, outtake di ZIGGY), del viaggio iniziatico, della maschera dell’artista (e si spazia da “HEROES” a BLACKSTAR), nella dottrina dello Specchio e in quella del Manichino. Quindi si passa alla “fabbrica bowiana dei personaggi”, tutti ritualmente fatti morire e rinascere da Bowie, evidenziandone i collegamenti con i tarocchi della Golden Dawn, associazione esoterica vittoriana che vide tra i propri membri sia il poeta irlandese Yeats sia il tristemente famoso Aleister Crowley, che tanta influenza ebbe sul rock della fine anni ’60 e dei primi anni ’70.
Il settimo capitolo passa in analisi il disco e il periodo in cui è più nota l’influenza esoterica: quello di Los Angeles, tra STATION TO STATION, le riprese di “The Man Who Fell to Earth” e l’elaborazione del personaggio del Duca Bianco.
L’ottavo e il nono capitolo sono i più complessi, perché l’insieme dei riferimenti alchimistici ed esoterici si intreccia con le suggestioni provenienti dall’arte figurativa contemporanea in OUTSIDE. Francamente, ho faticato a seguire, ma bisogna riconoscere che districare una trama e dei riferimenti creati da Bowie perché fossero volutamente ambigui e spiazzanti è impresa titanica. Infine, i capitoli 10 e 11 sono dedicati all’analisi di BLACKSTAR e del musical LAZARUS, che rappresentano un po’ una summa dell’intero percorso mistico di Bowie.
L’intero libro è impossibile da raccontare, ragion per cui ho cercato di descriverlo. In generale però si presenta come uno studio serio e fondato di alcuni aspetti fondanti dell’opera e del pensiero di Bowie. Possiamo ritenere che non abbiano alcun fondamento reale, ma questo non cambia le cose: si tratta comunque di una dimensione religiosa, quindi in essa non ha luogo il metodo scientifico, ma il sentimento della fede. Essi hanno rappresentato la linea di ricerca esistenziale in cui si è mosso Bowie, ed è quindi questo l’approccio che dobbiamo avere ad essi: non giudicare se siano veri in sé, ma quanto siano stati atti a trasmettere un messaggio e costruire l’arte di un musicista che il mondo rimpiange. Dunque, libro promosso e consigliatissimo.
Articolo del
06/06/2022 -
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