Quanti sono oggigiorno i concerti che animano i più grandi festival del globo? Ogni genere musicali ha i suoi esponenti più prestigiosi, così come le piccole comunità ospitano di sovente manifestazioni più di nicchia, ma non per questo meno rappresentative.
Ed anche se oggi è forse venuta meno nelle nuove generazioni la ricerca della sperimentazione, è più che mai importante volgere lo sguardo alla scoperta, o riscoperta, di un passato libero dalle catene dell’omologazione. C’è stata una parentesi, in particolare verso la fine degli anni sessanta, in cui alcuni grandi raduni hanno rappresentato il culmine di ideali di bellezza, amore e pace. In cui la musica ha riunito attorno al proprio tavolo artisti, poeti e scrittori. Ida Stamile, videomaker e giornalista dalla penna raffinata dedita anche allo studio dell’esoterismo, attraverso un lavoro meticoloso ed esaustivo racconta in “For What It’s Worth” (edito da Arcana) quando e come la stampa italiana è arrivata a trattare nelle proprie pagine i grandi festival americani ed inglesi.
Impreziosito dalla splendida copertina ad opera di Anna Maria Parente, il libro è suddiviso in 8 capitoli densissimi di informazioni, aneddoti, stralci di interviste, frammenti di articoli e locandine dove, pagina dopo pagina, il lettore ha modo di approfondire protagonisti musicali e sonorità che hanno funto da fondamenta per grandi raduni musicali come il Monterey Pop Festival o il Woodstock Music & Art Fair. Si riscoprono le rivoluzioni culturali e politiche, che animarono l’America sul finire degli anni 60 e dettero vita al movimento Hippie e alla “Summer of Love” sino ad arrivare a porre le basi per un gemellaggio a distanza tra le comunità americane ed inglesi, quando anche questi ultimi fecero proprio il motto del “Flower Power”. Si osserva la nascita della psichedelia come modo per “allargare le proprie coscienze”, grazie all’uso dell’Lsd e derivati, senza dimenticare la nascita delle prime riviste underground come strumento imprescindibile di divulgazione “alternativa”.
Si entra nei piccoli e grandi locali della Sunset Strip come il Whisky a Go Go a Los Angeles o l’Ufo Club nella capitale inglese, primi luoghi di aggregazione fisica del popolo della controcultura. E infine, prima di approdare all’approfondimento dei festival (Monterey Pop Festival, Woodstock, Altamont e il festival dell’Isola Di Wight) e comprendere come sono stati recepiti da parte degli ascoltatori e della stampa italiana, vi è la genesi della critica musicale nel nostro paese, della nascita e morte (per alcune l’attività editoriale, online o su carta, perdura tutt’ora) di testate come Gong, Il Mucchio Selvaggio, Il re Nudo, Rockerilla, Blow Up o Rumore, che, anche grazie a figure di spicco che in quel periodo si fecero notare nel nascente panorama del giornalismo musicale, a partire dagli anni 70 hanno portato all’attenzione degli italiani i gruppi, le sonorità e gli ideali d’oltreoceano.
In coda al volume troviamo un ricco apparato bibliografico e una breve storia dei principali artisti e gruppi degli anni 60 e 70. Nell’epilogo vi è poi un augurio dell’autrice, che mi sento di condividere appieno: che sia questo libro un’occasione che vada a far leva, più che sulla commemorazione nostalgica, sulla ritrovata fame d’idee e voglia di sperimentazione delle nuove generazioni di musicisti italiani.
Contro l’immobilismo dell’anima e della creatività c’è più che mai bisogno di leggere e “For What It’s Worth” è un ottimo punto da cui partire, perché, per comprendere il presente e costruire il futuro, è più che mai necessario non dimenticare il nostro passato.
Articolo del
16/06/2022 -
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