L’autore lo proclama “romanzo”, ma per fortuna non lo è. Per fortuna perché nei romanzi storici, quale dovrebbe essere questo, visto che tratta della genesi e della realizzazione di ATOM HEART MOTHER, quinto album della band, non si sa dove finisca la realtà e dove inizi la fantasia, poiché l’autore ha una tesi da dimostrare.
Questo invece è un racconto, anche se nelle intenzioni dell’autore “unisce il saggio al romanzo storico”. Come avverte lo stesso Rossi, “molti fatti sono ricostruiti con la più attenta ricerca sulle fonti del periodo, interviste, articoli di giornale, testimonianze dalla diretta voce dei protagonisti”, di cui le parole sono riportate nei virgolettati in corsivo; “altri episodi sono frutto di una ricostruzione di fantasia che comunque resta sempre attenta al contesto del periodo e alla credibilità storica degli avvenimenti narrati”. Dopo aver letto il libro, per come la interpreto io, i dialoghi delle telefonate con Stanley Kubrick (che voleva utilizzare l’album per “Arancia meccanica”), per fare un esempio, sono frutto di fantasia, ma aderenti alle modalità e ai contenuti dell’episodio. Insomma, Rossi tenta una strada per raccontare in modo più accattivante e meno accademico di quanto sia un tradizionale “making of” la nascita del primo disco dei Pink Floyd a raggiungere il numero 1 in classifica in UK.
L’operazione è riuscita e convincente, quindi promossa con applausi. La narrazione prende le mosse dalla fine dell’estate 1969, a registrazioni concluse di UMMAGUMMA; si snoda per la conoscenza con Ron Geesin, compositore colto coetaneo della band e uso a muoversi tra classica, jazz e musica concreta; passa per la brutta esperienza con Antonioni a Roma per la composizione della colonna sonora di “Zabriskie Point”.
Quindi, di seguito: la realizzazione della colonna sonora del film “Questo tuo fragile corpo meraviglioso” a opera di Geesin e Waters; le prove dal vivo dei nuovi pezzi; il tour USA di aprile 1970, subito abortito visto il furto dell’attrezzatura della band, poi recuperata ungendo adeguatamente la polizia di New Orleans; l’elaborazione della suite che dà il titolo all’album da parte di Geesin sugli spunti di Gilmour e Wright; la registrazione delle tracce che compongono il lato B; le difficili registrazioni con l’orchestra, con annessa visita di Syd Barrett; le prime date live; l’elaborazione della copertina da parte di Storm Thorgerson; l’estate 1970 in Costa Azzurra; l’apprezzamento di Leonard Bernstein (ma non per la suite...); l’uscita del disco; il secondo tour USA del 1970; Kubrick; la conclusione del tour mondiale, a Osaka, nel 1971.
Come si vede, il volume è dettagliatissimo ed estremamente preciso. D’altro canto, Rossi ne sa pacchi sui Pink Floyd, essendo questo il terzo volume che dedica loro (e ne ha firmati altri 7 di argomento rock). C’è solo una cosa che mi lascia perplesso: il fatto che a p. 136 Rossi parli di “tonalità in minore” a proposito di “If”, che notoriamente è composto esclusivamente da accordi in maggiore. Sarà certamente un refuso, ma lo segnalo a beneficio delle ristampe che auguro al libro. Perché, sì, merita: piacevole, appassionante, istruttivo per i curiosi del mondo Pink Floyd, completo, preciso. Che volere di più?
Articolo del
13/04/2023 -
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