“La voce arcobaleno” e “Da Disco Queen a Icona Pop” recitano i sottotitoli di questa prima biografia italiana di Donna Summer, una delle poche al mondo: all’estero ho notizia solo di “For The Record” di Craig Halstead (2015), oltre che dell’autobiografia scritta dalla Divina con Marc Eliot, “Ordinary Girl: The Journey” (2003).
Per il resto, qualche saggio, concentrato solo su un singolo album (“Donna Summer's Once Upon a Time” di Alex Jeffery, 2021) o sul milieu da cui è uscita (Moroder, il Munich Sound, la Disco). Già questa piccola rassegna evidenzia l’importanza del lavoro di Angeli Bufalini e Savastano, già autori di notevoli lavori sulla storia della disco music.
I sottotitoli succitati inquadrano lo sviluppo delle vita della cantante. “La voce arcobaleno” fa riferimento sia alla universalmente riconosciuta potenza e versatilità sia alla sua vicinanza alla causa dei diritti civili per il mondo LGBT+, messa ferocemente in discussione da una diceria nata negli anni ’80, in seguito alla “rinascita cristiana” di Donna Summer, analoga a quella di Dylan, voce sempre smentita dalla cantante di Boston, purtroppo inutilmente per almeno 15 anni. “Da Disco Queen a Icona Pop” mette in luce la trasformazione della cantante, prima indissolubilmente legata alla Disco e al Munich Sound di Moroder-Bellotte, suoi pigmalioni, poi, con l’abbandono della Casablanca Records in favore della Geffen, capace di acquisire sfumature diverse, rivelando lati differenti della propria personalità musicale.
È stata una vita difficile, quella della Summer. Prima la discriminazione razziale in patria, fuggita con in trasferimento per lavoro in Germania (era nel cast di “Hair” versione tedesca). Poi i rapporti problematici con i compagni, fino al matrimonio con il chitarrista Bruce Sudano, compagno per il resto della vita. Il successo come icona sexy della Disco la spersonalizza, conducendola sull’orlo del suicidio, sventato per caso, e gettandola in un smarrimento cui avrebbe dato risposta solo la riconquista di una fede accesa.
Il passaggio alla Geffen, sbagliatissimo, perché la casa discografica, che l’ha voluta fortemente, non ne apprezza il genere (la disco) né sa promuoverla efficacemente, per cui dopo i primi anni ’80 esce dal giro grosso. Le scelte sbagliate nell’individuazione dei singoli. Ben presto, già poco più 10 anni dopo i primi successi, la Summer è una sopravvissuta, una vecchia gloria che si chiama per qualche occasione speciale (anche tante), ma non nelle occasioni che contano (non è nel cast di “Usa for Africa”, per dire). Quest’ultima è la mia spassionata impressione, anche se gli autori, per l’ultima parte della sua vita, si sforzano di evidenziarne gli sporadici successi: ma, insomma, i 14 anni trascorsi tra il penultimo album (“Christmas Spirit”, 1994) e l’ultimo (“Crayons”, 2008) o la perpetua difficoltà a trovare chi appoggiasse i suoi progetti (rimane inedito il musical da lei scritto sulla sua vita, nonostante i diversi brani trapelati sul web) parlano da soli. Sicché la parte migliore della biografia, come spesso accade, inevitabilmente, è quella degli anni d’oro e dei grandi successi, nonostante la fondamentale “ordinarietà” della Summer come persona faccia sì che la sua vita sia totalmente priva di quegli eccessi caratteristici sua degli anni ’70, sia della disco music, sia della Casablanca Records: non a caso, il titolo della sua autobiografia, “Ordinary Girl”, fa riferimento proprio al suo ritenersi una ragazza normale che ha fatto cose speciali.
Il libro rimane comunque una fonte di una miniera di dati e vanta, come di consueto per la Coniglio Editore e le produzioni del duo Angeli Bufalini e Savastano, un ricchissimo e bellissimo apparato iconografico. Per amanti della Summer e della disco, soldi ben spesi
Articolo del
11/07/2023 -
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