Questo non è semplicemente il catalogo dell’omonima mostra che si tiene ai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia dal 12 ottobre 2023 all’11 febbraio 2024: è l’occasione, come la mostra stessa, per uno sguardo approfondito e una riflessione profonda sul significato e sui moventi ideali che ebbe l’esperienza dei CCCP - Fedeli alla Linea, la cui parabola si disegnò nei cieli delle italiche musiche tra 1982 e 1990 e la cui importanza si evidenzia sempre di più con il passare del tempo. Messa da parte la musica - una mostra e un catalogo non si ascoltano - rimangono l’aspetto testuale, iconografico e teatrale, la cui importanza è centrale per una band che non è mai stata solo la musica che ha prodotto, ma ha voluto comunicare in molti modi, ricollegandosi, seppur non esplicitamente, al clima delle avanguardie artistiche di inizio Novecento (specie l’Espressionismo tedesco e il Cubofuturismo russo) e a quello delle Neoavanguardie della seconda metà del secolo scorso (come inquadrare le performance di Fatur senza tener conto della body art di Marina Abramović e Gina Pane?). E d’altronde disse Annarella, Soubrette del Popolo: “Noi non eravamo un gruppo musicale, non solo quantomeno. C'era un corpo maschile che si denudava e uno femminile che si vestiva e della musica moderna mescolata con musica melodica emiliana, cantata rigorosamente in italiano, qualche volta in russo o in altre lingue” (Luca Valtorta, “Giovanni Lindo Ferretti e i CCCP: ‘Sempre fedele alla linea, perché la linea non c'è’”, in “La Repubblica”, 04 maggio 2014).
Non si può non tener conto del contesto in cui è nata la band: gli anni ’80, che da un lato testimoniano il crollo dell’alternativa di sinistra in cui i membri della band hanno creduto (Ferretti fu militante di Lotta Continua), da un altro vedono il trionfo di rampantismo, yuppismo, iperconsumismo, edonismo (reaganiano, aveva detto Roberto D’Agostino), da un altro ancora l’imborghesimento definitivo del PCI, vissuto sulla pelle della propria Emilia, la sua rinuncia anche al mero propagandismo rivoluzionario e la sua mutazione in una sorta di Partito Radicale, che sarebbe divenuta esplicita con la mutazione che lo portò a essere PDS e infine PD. In questo quadro, avvertito, percepito, poi razionalizzato ed elaborato in un abbozzo di ideologia, non è casuale che Ferretti e Zamboni si siano incontrati a Berlino, meta rifugio degli alternativi europei da Bowie & Iggy in poi, negli stessi anni in cui Nick Cave la eleggeva a sua tana; è significativo che nell’ambiente di emarginati che era quello del rock alternativo negli anni ’80, fatto spesso di miseria, arte di arrangiarsi, tossicodipendenza, case occupate e fatiscenti, prima abbiano frequentato il quartiere turco e islamico, Neukölln (già omaggiato da Bowie con uno strumentale quasi omonimo in “HEROES”) e poi abbiano tratto la seconda parte del loro nome da un locale berlinese.
“Fedeli alla linea” rimarcava l’opposizione decisa alla svolta che il mondo stava prendendo: la ricerca di una forma durissima di alternativa portò la prima parte del nome, CCCP, ovvero la sigla dell’URSS in cirillico, verso la quale, come dichiarato più volte, la fascinazione non era ideologica: “Scegliamo l’Est per ragioni etiche ed estetiche. All’effimero occidentale preferiamo il duraturo; alla plastica l’acciaio”, si legge nell’intervista rilasciata a Pier Vittorio Tondelli (“Punk, falce e martello”) e pubblicata in un numero de “L’espresso” del novembre 1984. Un’estetica, un’etica (ci tornerò), il desiderio di avere un Grande Padre forte, d’acciaio, capace di contrapporsi titanicamente al modello occidentale. Gioverà ricordare che “Stalin”, soprannome del dittatore che seppellì la rivoluzione russa trasformandola in un novello zarismo, significava proprio uomo “d’acciaio”. A lui si rivolgeranno così i CCCP: “Timoniere con mano d’acciaio / ora si faccia avanti chi, quando era vivo / non l’ha glorificato non l’ha magnificato [...] / nel gran salone delle cerimonie / non lasciavamo ch’egli aprisse bocca / e subito, alzandoci, urlavamo: / - Urra, anche stavolta Egli avrà ragione -”. Eppure, anche se i CCCP non erano affatto ironici né parodistici (“Il gusto della parodia lo lasciamo a Ferrini e agli Skiantos. Noi facciamo sul serio”, dichiarò Zamboni alla stampa dopo la rissa al concerto al Cinema Espero di Roma, a giugno 1986), non erano comunque a favore del totalitarismo: “Quello che ci frega è di non arrivare [...] a lunghe e squallide ere di socialismo di Stato (e non fraintendiamo i CCCP); perciò per farla breve ciò che serve è sensibilizzare, svegliare le coscienze, diffondere il pensiero libertario”, si legge nel comunicato stampa di ORTODOSSIA II. E non dimentichiamo il passato di infermiere in ospedale psichiatrico di Ferretti che lo portò a celebrare l’anti-psichiatria libertaria di Ronald Laing.
Il caso CCCP è così importante, anche a fini storici, proprio perché in esso si agitano radici contraddittorie, si fondono tradizioni inconciliabili, nascono contaminazioni impensabili ai tempi, che danno vita a un percorso apparentemente incoerente, ma in realtà limpidissimo e coerentissimo, in cui trovano precisa ragion d’essere sia la svolta religiosa di Ferretti all’epoca di CANZONI PREGHIERE DANZE DEL II MILLENNIO - SEZIONE EUROPA (1989), sia il suo successivo riaccostamento alla Tradizione che lo ha portato a incontrare Giorgia Meloni e a spendere parole positive per il Centrodestra nazionale. Se il riflusso degli anni ’80 sopra ricordato certifica il trionfo dell’American Way of Life, contrastato da un parte significativa della società europea e italiana fino alla fine degli anni ’70, allora i CCCP si dichiarano “stanchi di vivere all’americana, di mode americane e cose del genere. [...] Noi ci sentiamo europei dall’intelligenza più piena all’ignoranza più bestiale” (in Pier Vittorio Tondelli, “Punk, falce e martello”, 1984). Ciò conduce ad approdi insospettabili e all’epoca poco o per nulla percepiti nella loro importanza e significatività: la celebrazione del “ritrovato Nazionalismo”, al suono di “UN SOLO GRIDO: ME NE FREGO!!!” (“La Pianura Pagana”, Fatur, Carpi, 1986); o i caratteri del Ventennio in cui è scritto “Dedicatissimo”, inserto del singolo “Oh, Battagliero” del 1987. E proprio in “Dedicatissimo” si legge la motivazione del connubio liscio-punk, che va al di là della celebrazione dell’Emilia rossa: “Il liscio celebra l’unico contatto possibile tra l'ateismo anticlericale ed il devozionalismo cattolico, sorretto dai buoni sentimenti di entrambi: l'amore patrio, il focolare, la nostalgia del paese natio, la purezza, il divertimento la scanzonatura, il sesso positivo che rilassa e lascia come ostaggio i figli”. Insomma, pur nell’avversione ideologica al fascismo, i CCCP ne apprezzano l’essere europeo e la tutela di valori popolari tradizionali, che il soft power americano degli anni ’80 sta spazzando via. Non a caso tra i colleghi di etichetta all’Attack Punk ci furono i Disciplinatha (i Laibach italiani), poi prodotti dai Dischi del Mulo dei CSI, che da sinistra recuperarono provocatoriamente l’immaginario fascista proprio come reazione al consumismo capitalista di stampo americano. Ed ecco quindi lo snodo cruciale, ma naturale, naturalissimo col senno del poi, di CANZONI PREGHIERE DANZE DEL II MILLENNIO - SEZIONE EUROPA (1989): Europa contro America; e recupero dell’austerità berlingueriana (quel Berlinguer così contestato dalla Nuova Sinistra Settantasettina in cui aveva militato Ferretti) contro l’edonismo consumista, spiegato nella lunga “Lettera a Berlinguer” inserita nella confezione del disco. “Austerità? Volevamo tutto e subito e ce l'hanno dato. Vestivamo di colori e suoni, per esorcizzare un futuro di soprammobili e casette a schiera, ma non è bastato. Avevamo abolito il Tempo, per ritrovarci con due orologi al polso ed essere sempre in ritardo. Ed è tutto ciò che ci resta, l'Austerità, non per salvare il mondo, ma la nostra condizione di esseri umani, noi, Europei, privilegiati nel mondo. E se la Austerità come indicazione politica (di Grande Politica: quella che si occupa - preoccupa dei rapporti tra gli uomini, le collettività, i paesi) è stata osteggiata soprattutto da chi doveva sostenerla, come INDICAZIONE CONCRETA DI VITA è l'unica praticabile qui, adesso”. Ecco quindi il fil rouge tra europeismo, socialismo nazionale, austerità e fascinazione etica ed estetica per i regimi stalinisti e dittatoriali dell’Est Europa (“Siamo filosovietici e non filorussi”, in Pier Vittorio Tondelli, “Punk, falce e martello”, 1984) che porterà all’ammirazione per le culture nomadi e “primitive” dell’Asia centrale, che sfocerà nel viaggio in Mongolia che sarebbe stato alla base di TABULA RASA ELETTRIFICATA (CSI, 1997): il pauperismo. E da qui il titolo dell’ultimo album dei CCCP, EPICA ETICA ETNICA PATHOS (1990): l’epica (la lotta popolare, di classe), l’etica (i valori del popolo e quindi della Tradizione), l’etnica (la via europea e nazionale alla civiltà), il pathos (il sentimento di appartenenza, di identità). Come stupirsi quindi della conversione/ritorno alla fede cattolica di Ferretti? Perché sbalordirsi degli accenti sempre più tradizionalisti, pauperistici, popolari/populistici che ha assunto nel tempo (si ricordino i PGR, Per Grazia Ricevuta, i dischi solisti, la biografia del cantante)? Come sorprendersi del passaggio dall’esaltazione del Punk Islam e di Gheddafi profeta di Allah all’abbraccio a Ratzinger? Come meravigliarsi della convergenza con Meloni? Le radici contano, anche inconsapevolmente, e quelle familiari di molti membri dei CCCP parlano chiaro: la famiglia ultracattolica di Ferretti; il nonno fascista di Zamboni; la famiglia cattolica ferocemente anticomunista di Negri, primo bassista; il fatto che Fatur abbia un passato come chierichetto del vescovo di Carpi. Inconsapevolmente, la ricerca di un Padre, lo sforzo di rimanere fedeli a una Tradizione forse, chissà, partono anche da qui.
Ed ecco quindi perché questo libro è importante ed importante è la vicenda artistica dei CCCP: perché illumina, nel suo essere stata una grandiosa reazione emotiva ed irrazionale, per nulla ideologica alla sconfitta epocale della prospettiva di trasformazione della società in senso solidale, socialista, comunista o anarchico che fosse, la strada che ha portato all’emergere del rossobrunismo odierno, coacervo contraddittorio di aspirazioni totalitarie e anarcoidi (non anarchiche!) al tempo stesso. Quello che in politica è becero e ributtante, ai miei occhi e per la mia cultura politica, nella vicenda dei CCCP diventa immaginario poetico e compiuto, affascinante ed onirico, piantato coi piedi per terra, ma situato in un Altrove dell’anima, estremamente provocatorio (divertenti e significative le testimonianze degli allarmi del Veneto Fronte Skinheads, dell’ultracattolico Movimento Popolare, delle interrogazioni comunali della Democrazia Cristiana d’allora, delle contestazioni e delle risse ai concerti scatenate dai militanti di Autonomia Operaia), ma mai fine a se stesso, bensì, anzi, capace di mostrare le vie nascoste che ha preso una parte non indifferente di società, che una volta marciava sotto le bandiere rosse e oggi vota Meloni, Salvini, rossobruni e complottisti. Chi vuol negare l’importanza di questa esperienza artistica, anche fuori della musica, è cieco. Acquisto, lettura e meditazione necessarissimi.
Articolo del
17/10/2023 -
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