Giorgio Gaber non mi ha mai interessato particolarmente. Tuttavia, ne riconosco benissimo l’importanza nell’evoluzione della cultura italiana, il segno lasciato in essa a partire dagli anni 50 fino alla morte nel 2003, segno che non riguarda solo la musica, ma, a partire dagli anni ’70, anche il teatro, con l’elaborazione, assieme al pittore livornese Alessandro Luporini, autore dei testi, di quell’esperimento originale che è stato il teatro-canzone.
Perciò, quando mi è arrivato a casa questo nuovo volume - non richiesto - di Fabio Barbero sugli spettacoli degli anni ’80 elaborati dal duo ho deciso di dargli una possibilità, anche semplicemente per aumentare le mie conoscenze. È stata una saggia decisione.
L’autore, Fabio Barbero, insegna italiano in Francia: da ciò gli viene la preparazione professionale nell’affrontare un argomento così complesso qual è una forma del tutto particolare come quella del teatro-canzone. Se già la canzone è in bilico tra due mondi, poesia e musica, non appartenendo propriamente a nessuno dei due, ma ricavando da questo incrocio caratteri peculiari del tutto propri, nei lavori di Gaber e Luporini si aggiunge un terzo mondo, quello del teatro, fatto di gestualità, spazialità, recitazione, corporeità. Se la maggior parte del corposo volume (407 pagine) si incentra sull’analisi di temi e significati degli spettacoli gaberiano-luporiniani degli anni ’80 con un consistente apparato di note, rimandi, confronti intertestuali, Barbero saggiamente dedica due importanti capitoli proprio all’analisi della forma canzone negli spettacoli del duo e alle caratteristiche formali del teatro canzone.
Nel primo (Gaber e la canzone, pp. 295-306) Barbero, sulla base delle indicazioni di Gianni Martini, chitarrista di Gaber dal 1984 al 2003, individua “cinque grandi maniere con cui l’artista milanese si è servito della musica a teatro”: “la canzone nella forma più classica”; la “citazione” di stampo cabarettistico; la canzone teatralizzata; il “pedale modale” di derivazione jazzistica (anche se non tale negli esiti); la “sonorizzazione di un monologo”. Per i dettagli e le spiegazioni, ovviamente, rimando al libro.
Nel secondo (Gaber e il teatro di evocazione/narrazione, pp. 345-365) Barbero individua la nascita dell’esperienza di Gaber e Luporini nella reazione al teatro del Gesto e dell’Urlo di gruppi come il Living Theatre, individua affinità e divergenze col teatro di Dario Fo e radici in quello di Eduardo e Peppino De Filippo. Anche qui, rimando al libro.
La maggior parte di esso, come già scritto, è costituita dall’analisi degli spettacoli del duo Gaber-Luporini negli anni ’80 (il volume è il seguito di “Giorgio Gaber, Sandro Luporini e la generazione del 68. Un'analisi di alcuni spettacoli degli anni Settanta”, uscito l’anno scorso, e verosimilmente il prequel al completamento di una trilogia): “Anni affollati”, “Io se fossi Gaber”, “Il caso di Alessandro e Maria” (solo prosa), “Parlami d’amore Mariù”, “Il grigio” (solo prosa). Leggerne è come (ri)attraversare il decennio con una prospettiva critica, seguendo l’evoluzione della società italiana. Già solo per questo il volume ha valore assoluto, dovuto non solo alla meticolosità e alla bravura di Barbero (imprescindibili), ma anche ovviamente alla capacità di Gaber e Luporini di cogliere molti segnali della trasformazione del nostro Paese. Importante anche l’individuazione delle fonti dei testi: Adorno, Baudrillard, Borges, Celine, soprattutto.
Ma il saggio di Barbero merita moltissimo anche per l’evidenziazione dell’importanza assoluta di Luporini, non firma a fianco, ma l’estensore materiale di tutti i testi degli spettacoli del duo: prima venivano ore o giorni di discussione e focalizzazione degli argomenti da trattare, poi stesure chilometriche dei testi da parte di Luporini, quindi la scrittura delle musiche da parte di Gaber e gli eventuali aggiustamenti dei testi. Il lavoro non finiva lì: durante i tour poteva cambiare la struttura dello spettacolo o il testo di qualche canzone, a seconda delle reazioni del pubblico; e poi c’era tutta la parte scenografica. Ridurre a Gaber l’opera del duo, come spesso è stato fatto, è quindi un errore grossolano, da cui Barbero mette continuamente in guardia. Moltissime le testimonianze, a volte tratte da interviste rilasciate da Gaber in vita (la mole di riviste consultata è spaventosa), a volte tratte da corpose conversazioni dell’autore con Luporini, risalenti al 2017.
In definitiva, una pietra miliare degli studi su Gaber e Luporini, restituito alla sua dignità di Autore, e un viatico attraverso le trasformazioni della società italiana. Consigliatissimo
Articolo del
01/01/2024 -
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