“L’Italia non è mai stata innocente” strilla, in caratteri bianchi immersi in una notte nera, la quarta di copertina di questo appassionante “Settanta” di Simone Sarasso. Il romanzo, incentrato sulla storia italiana nascosta del decennio omonimo del secolo scorso, è il seguito di “Confine di Stato”, che copriva gli anni dal ’53 al ’72 imperniandosi su eventi come lo scandalo Montesi e l’omicidio Mattei, e il prequel di un nuovo, annunciato libro che chiuderà la trilogia arrivando fino alla fine della Prima Repubblica.
Prima avvertenza: non occorre aver letto “Confine di Stato” per godersi “Settanta”, giacché i due libri sono indipendenti l’uno dall’altro, per così dire, ovvero narrativamente autonomi, benché alcuni dei personaggi presenti nel romanzo del 2007 (l’Omino, Argento, il colonnello Kurtz, Andrea Sterling, Franco Gelo) tornino e con non poco rilievo. Seconda avvertenza: certo, conoscere la storia italiana degli anni Settanta e aver vissuto quel contesto storico aiuta, ma non è necessario. Per diversi motivi. Uno, perché il romanzo si regge benissimo in piedi senza aiutini storiografici (magari, anzi, può essere di stimolo ad approfondire il decennio più misterioso del Novecento). Secondo, perché, come avverte lo stesso Sarasso nella post-fazione “La deriva”, “niente, in questa storia, è reale. Verosimile, forse, ma reale no. Non sono reali i personaggi, né le storie che accadono”. Infatti: quello che è reale e scrupolosamente documentato e documentario è lo scenario, il contesto, i grandi eventi come l’attentato al treno Italicus, a piazza della Loggia a Brescia, alla stazione di Bologna o il tentativo di golpe la notte dell’Immacolata (8 dicembre 1970), con cui si apre il romanzo (dopo la premessa di “Zero”, ambientata in Vietnam, una vera “bomba a tempo”, per dirla con Wu Ming 1 e in consonanza con il clima dinamitardo degli anni ’70, destinata a conflagrare nel finale del libro, dopo essere stata lasciata lì dallo scrittore e bellamente dimenticata dal lettore). “Settanta” è, infatti, una “ucronia”, una storia alternativa dell’Italia degli anni di piombo, prodotta da lievi ma decisivi smottamenti: come avverte nella solita post-fazione Sarasso, benché i personaggi principali facciano immediatamente scattare nel lettore avvertito una serie di associazioni con personaggi storici realmente esistiti, “nessuno di essi è identificabile con il proprio corrispettivo”. E ne elenca le buone (storiche) ragioni, chiarendo che “questa non-identità tra Storia e fiction, tra personaggio storico e character, non significa semplicemente pararsi il culo da eventuali querele per diffamazione”, ma che, data l’oscura nebulosità delle vicende degli anni ’70, per descriverli non resti altro che “supporre. Andare a naso. Inventare”. Appunto: “inventare”. Che etimologicamente (viene dal latino “in-venire”, tanto per far vedere che ho fatto le scuole alte) significa “trovare, scoprire cercando” (pensate all’ “inventario”) e quindi “giungere a qualche meta”. Quella che si raggiunge in questo libro, con grande godimento (nonostante le 693 pagine il libro si legge d’un fiato, si soffre a staccarsene e la sua “materia oscura” continua ad agire dentro al lettore) è proprio il Senso complessivo del decennio, quello che innumerevoli indagini in questa Italia mai stata innocente non potranno mai esplicitare. C’è un particolare illuminante: alla premessa “Zero” seguono alcune pagine realizzate come titoli di testa di un film, di questo immaginario film (un auspicio di transmedialità?). Qui è indicato come protagonista, star del libro-film Andrea Sterling, lo spietato ufficiale dei Servizi segreti deviati, fascista, golpista, torturatore, stragista. Che per tutto “Settanta” cerca di scoprire chi ha fatto fallire il golpe dell’Immacolata. Ebbene, non capisce un cazzo, come ci rivelerà il finale. È illuminante perché l’indagatore si perde nel labirinto dell’indagine come è successo infinite volte nella realtà. Come succede al lettore. E come succede al vero magistrato presente in questo libro, Domenico Incatenato, che qualcosa arriva a capire, ma ogni volta che arriva vicino alla verità è stordito dall’abisso urlante che essa rivela: “Domenico si era appena avvicinato al buco nero. Non aveva la minima idea della sua potenza distruttrice”. Incatenato (nomen omen, come spesso viene ripetuto) è uno dei nuovi personaggi del romanzo rispetto a “Confine di Stato”: con lui, le new entries sono la star dei poliziotteschi Nando Gatti ed il genio della mala milanese Ettore Brivido, entrambi molto riusciti (più il secondo che il primo). Noi lettori, nel corso della narrazione siamo spinti a diventare ognuno di loro, in quanto il tono del narratore (solita post-fazione) “cambia e si fa simile a quello del protagonista le cui vicende sta raccontando. Il discorso indiretto libero domina gran parte dei paragrafi e connota a tal punto il ritmo della storia da trasformare la voce narrante in quella dell’agente”. È un punto importante, perché di volta in volta noi diventiamo, siamo tutti: è sorprendente e straniante a un certo punto accorgersi di identificarsi in Sterling. Non è casuale. Noi siamo parte del tutto e prodotto di questa nazione: “L’Italia è sempre uguale a se stessa: posto di furbi, ladri e coltelli”. È qui che il romanzo diventa politico in senso alto: da questa amara e alienante (?) constatazione emotiva dovrebbe partire poi una qualche azione nel nostro quotidiano, anche banale, per dimostrarci che non siamo così, almeno noi che leggiamo.
Transmedialità assoluta: un invito a riscrivere la nostra storia, personale e collettiva. Che è coerente con le caratteristiche del New Italian Epic, descritto da Wu Ming 1, in cui quest’opera si inserisce e non solo (“Credo che il suo lavoro abbia illuminato la rotta di molti. La mia senz’altro”). “Settanta”, in questo senso, è come “Gomorra”: potente, ben scritto e narrato, appassionante. Imperdibile.
Articolo del
15/06/2009 -
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