Domenica 30 agosto è stato un giorno triste per ogni vero appassionato di cinema horror. Si è spento infatti a Los Angeles il grande regista americano Wes Craven, che aveva 76 anni e da dieci lottava contro un tumore al cervello.
Craven è stato un genio assoluto, colui che rivoluzionò il genere horror negli anni settanta con pellicole come “L’ultima casa a sinistra” e “Le colline hanno gli occhi”, e lo rilanciò nei novanta con “Scream”. Ma ciò per cui verrà ricordato sarà soprattutto l’aver concepito il personaggio di Freddy Krueger, una delle figure più emblematiche del filone gotico moderno, protagonista della serie di film Nightmare da lui inaugurata col primo capitolo nel 1984.
Freddy Krueger è stato per Wes Craven quello che la teoria della relatività fu per Einstein o il goal all'Inghilterra per Maradona: l'intuizione di una vita, quella che o sei bravo a coglierla o sei fortunato che ti casca in testa come la mela di Newton.
Craven, peraltro, il suo sostanzioso contributo al genere lo aveva già dato negli anni settanta, quando insieme a Tobe Hooper, John Carpenter e David Cronenberg formava il cosiddetto “quartetto dell’horror selvaggio”, un filone che traendo spunto dal ribrezzo offerto dalla violenza quotidiana tanto della metropoli quanto della provincia silente e abbandonata dal governo centrale di Washington, sviluppava tematiche dai forti connotati politici nel contesto del sempre più sbrindellato tessuto sociale americano post-Vietnam. I mostri non erano più creature soprannaturali nati dalla penna di qualche scrittore dell’Ottocento ma gli esseri umani con tutto il loro carico di perversioni e crudeltà.
Wes Craven, dei quattro, era il teorico dell’orrore di provincia. Si pensi a L’ultima casa a sinistra (1972) o a Le colline hanno gli occhi (1977). Ma fu con Nightmare, da lui scritto e diretto, che passò alla storia: l’ “uomo con gli artigli al posto delle dita” fu il suo lasciapassare per la gloria eterna.
Ma le idee, per quanto grandiose possano essere, bisogna lottare per imporle. E lui lottò per più di tre anni alla ricerca di una casa di produzione disposta a finanziare il suo progetto. L’unica a dargli credito fu la New Line, piccola compagnia indipendente all’epoca sull’orlo della bancarotta e che proprio grazie a Freddy troverà la spinta per rilanciarsi fino a diventare negli anni una multinazionale su scala globale.
Il merito maggiore di Craven fu di creare dal nulla un nuovo “mostro”, un essere che non apparteneva al mondo reale ma a quello dei sogni, un'entità il cui raggio ragione era circoscritto alla sfera onirica ma con la sinistra particolarità che quanto essa compiva lì aveva le sue nefaste ripercussioni anche nella realtà, e pertanto se la vittima sognava di morire, lo stesso avveniva - istantaneamente e con le stesse modalità - anche davanti agli occhi di chi era sveglio.
Ma quello che rendeva unico Freddy non era tanto questa sua appartenenza ad una dimensione irreale e sospesa quanto lo straordinario appeal, quel fascino magnetico che gli conferì i tratti di una moderna icona pop. Tanto da essere subito accostato ad altri due simboli horror dello stesso periodo, Michael Myers e Jason Voorhees. Ma il paragone era improprio. I protagonisti delle saghe di Halloween e Venerdì 13 - che quando uscì il primo Nightmare erano già avviate da tempo – si presentavano come mostri impersonali, muti e dalla furia senza logica, spietate macchine spargisangue ad uso e consumo della telecamera. Non avevano anima né verve. Insomma, va bene lo splatter, va bene il sangue, ma il carisma era di casa da un’altra parte.
Freddy, al contrario, un disegno ce l’aveva ed era uccidere i figli di coloro che in passato lo avevano giustiziato. La storia infatti è nota. Frederick Krueger, da vivo, era un pedofilo che aveva seviziato e ucciso più di venti bambini di Elm Street, un quartiere di Springwood, cittadina di provincia americana.
Per gli abitanti era diventato un incubo, la polizia non riusciva a beccarlo, fino a che un giorno i genitori del quartiere decisero di farsi giustizia da soli e lo bruciarono vivo nella caldaia dove lavorava come operaio.
Ma il truce trapasso non segnò la sua vera fine poichè il pederasta squilibrato, giunto sulla porta dell’inferno, fece un patto con il diavolo (si scoprirà solo nel sesto film però…) che gli permise di tornare in vita qualche anno più tardi materializzandosi nei sogni di coloro, oramai adolescenti, che all’epoca dei fatti scamparono alla mattanza.
Ma perché gli adolescenti? Verso la fine degli anni settanta fu coniato il termine slasher (dall’inglese to slash, fendere) per indicare quel particolare sottogenere dell’horror in cui l’assassino uccide con un’arma da taglio (un coltello, un’ascia, ecc.) prendendo di mira generalmente un gruppo di ragazzi, vuoi compagni di scuola, vuoi di campeggio. Il capostipite fu Halloween – la notte delle streghe, di John Carpenter (1978). Lo slasher era molto in voga negli anni ottanta, ma se il più delle volte la scelta di utilizzare i giovani come vittime predestinate era dettata dalla necessità di stabilire un collegamento empatico col pubblico a cui queste pellicole erano rivolte, in Nightmare di adolescenza se ne parlava ad un livello più profondo.
Si faceva luce in particolare sul rapporto conflittuale tra giovani e adulti, un legame sfibrato da muta diffidenza e incomunicabilità. Gli adulti erano quasi sempre depressi, alcolizzati, violenti. I ragazzi, dal canto loro, erano frustrati, scoraggiati, disillusi, vincolati ad un’esistenza che qualcuno aveva già scritto per loro e non gli consentiva perciò di inseguire i propri sogni e aspirazioni. L'unico conforto lo trovavano nel gruppo. Tra loro erano felici. Per il resto, tristezza e desolazione. E il tutto, nel passaggio più delicato della loro esistenza: la fine della pubertà come viatico dall’età giovanile a quella adulta. Ed era in quel cono d’ombra che Freddy s’insinuava per corrompere quel poco di immacolato che ancora restava nei loro animi, devastandoli nello spirito e avvelenando l'ultimo pozzo di felicità che gli rimaneva: il mondo dei sogni.
Ma dato che la classe non è acqua, Freddy non si limitava ad uccidere le sue vittime ma ci giocava, parlava il loro stesso linguaggio, ne percepiva virtù e debolezze, ambizioni e frustrazioni. Conosceva il loro mondo, li capiva, era un giovane fra i giovani. Ma i suoi propositi erano tutt’altro che amorevoli. Era un po’ come il gatto col topo. Spesso ironizzava, faceva allusioni sessuali, doppi sensi. Le sue battute divennero tormentoni che in quegli anni campeggiavano sulle maglie dei fan di mezzo mondo. Freddy era un istrione incantatore e il pubblico adorava la sua ironia macabra, le sue movenze, la sua ambiguità.
E poi gli artigli. La sua caratteristica principale era infatti l’arma di cui si serviva, la stessa con cui da vivo faceva scempio dei corpicini dei piccoli che rapiva e violentava: un guanto da operaio con fissate sulle estremità delle dita quattro lunghe lame a mò di artigli. Freddy, inoltre, era subito riconoscibile grazie agli indumenti che indossava: un vecchio maglione a strisce orizzontali rosse e verdi, e un cappello nero che ne nascondeva il volto ustionato dalle bruciature provocategli dai suoi giustizieri. E la proverbiale posa pelvica con cui si manifestava nell’oscurità degli incubi ne ha reso la silhouette un vero e proprio emblema dell’iconografia horror.
Ma Freddy, in un certo senso, era anche un mostro di “denuncia”. Egli rappresentava il male che arrivava a corrompere l’idillio della provincia, la lama assassina che squarciava il cielo ipocrita di una realtà solo in apparenza serena ma sostanzialmente marcia dalle fondamenta. Freddy era un reietto, il prodotto difettoso ed estremo di una società patinata. Una specie di clochard, un disadattato che nella sua seconda vita riusciva a riscattarsi. Nei sogni era lui il signore incontrastato, quello che dettava le regole. E il suo guanto assassino era una mannaia che si abbatteva sulla stessa comunità che lo aveva prima messo ai margini e poi brutalmente eliminato.
Ma non si può scindere il personaggio da colui che ne interpretò le gesta per tutta la saga, quel Robert Englund senza il quale il brand più popolare di casa New Line sarebbe rimasto lettera morta. La sua fisicità, il suo sadismo, il suo sguardo, hanno fatto di Freddy un modello da cui trarre ispirazione. Echi di lui è possibile ravvisarli in molti “cattivi” venuti dopo, a partire dal Max Cady interpretato da Robert De Niro nel remake di Cape Fear, molto più simile appunto a Freddy che non al suo omologo originale impersonato da Robert Mitchum nel 1962.
La saga di Nightmare andò avanti fino a metà degli anni novanta al ritmo vertiginoso di quasi un film all’anno. File ai botteghini, incassi da capogiro… ma qualità media dei sequel ovviamente inferiore al capostipite, fatta eccezione per il terzo episodio che ebbe il merito di rimettere la storia sui giusti binari dopo gli scempi del secondo.
Nel suo insieme, la saga offriva un quadro completo della vita passata di Freddy. Un quadro andatosi riempiendo film dopo film con tasselli sempre nuovi a spiegarne le origini della follia, ma sempre rispettando il plot originale verso cui la New Line continuerà a mostrare un ossequio quasi religioso anche quando Wes Craven si tirerà fuori dal progetto. Tra l’altro, la New Line mantenne i diritti sui film ma Craven quelli d’immagine sul suo “assistito”, con tutto ciò che ne derivava in fatto di merchandising.
In tutti i film, ovviamente, gli effetti speciali abbondavano e la truculenza e fantasiosità delle uccisioni erano un valore aggiunto. Come nel caso del giovane – interpretato da un imberbe Johnny Depp al suo primo ruolo cinematografico – inghiottito da una voragine apertasi nel letto e risputato fuori in forma di fiotti di sangue; oppure della ragazza asmatica che moriva “aspirata” da un bacio con risucchio di Freddy; o ancora, la ragazza tossicodipendente alla quale Freddy iniettava una dose letale di eroina coi quattro artigli tramutatisi in siringhe; o del ragazzo appassionato di fumetti che veniva catapultato nella sua serie preferita (in omaggio ad un famoso video degli A-Ah) e fatto a pezzi come un foglio di carta.
La saga si esaurì nel 1991 con il sesto episodio che già nel titolo anticipava la fine del protagonista, ma tre anni dopo si ebbe una prima riviviscenza del marchio, col ritorno di Wes Craven dietro la mdp a tentare un curioso tentativo di “film nel film” nel quale regista e attori interpretavano se stessi nell’atto di girare Nightmare 7, stavolta l’ultimo per davvero. Insomma tutto inizia e finisce con Craven. Anche perché l’obbrobrioso Freddy vs Jason del 2003 e l’ancor più vergognoso remake del 2010 sono stati solo tentativi insulsi di riesumare un brand storico che oramai aveva fatto il suo tempo (ora sembra addirittura stiano preparando il remake del remake…).
L’unica, quindi, è onorare la memoria di un genio rispolverando di tanto in tanto quel prezioso cofanetto che custodiamo gelosamente sulla mensola in salotto, in attesa che l'uomo con gli artigli venga a prenderci di notte. Tanto è solo un sogno. O no ?
One, Two….. Freddy’s coming for you
Three, Four……. Better lock your door
Five, Six….. Grab your crucifix
Seven, Eight…….. Gonna stay up late
Nine, Ten…….. Never sleep again……