Non c’è un narratore nel film “Ezio Bosso. Le cose che restano”. Per il regista, Giorgio Verdelli, nessuno avrebbe potuto raccontare la storia del grande musicista, contrabbassista, pianista e direttore d’orchestra, l’uomo capace di dialogare con il pubblico e con la gente, sul palco e nella vita di tutti i giorni. Ci sono le testimonianze di amici tra cui il regista Gabriele Salvatores e l’attore Silvio Orlando, i ricordi dei collaboratori e dei familiari ma la voce narrante è dello stesso Ezio Bosso, un giramondo affamato di musica e di vita.
Il film, presentato a Venezia e poi - secondo il protocollo della Nexo - distribuito nei cinema di tutta Italia per tre giorni e ora visibile sulla piattaforma della Nexo Digital, ci porta a continue scoperte: chi conosceva l’artista potrà comprendere meglio l’uomo. Il titolo, “Le cose che restano” è affermativo perché nel film c’è una risposta: restano le opere ma restano anche le parole, la capacità di aprirsi di un uomo protagonista di una storia che può essere un esempio.
La musica è talento, (il fratello Fabio ci racconta come Ezio a quattro anni improvvisasse una canzone perfettamente a tempo mentre lui abbozzava un giro d’accordi sulla chitarra), ma poi servono disciplina e studio per farne una ragione di vita. C’è un continuo rimando di immagini e sonoro, senza l’intento di commemorare l’artista scomparso perché un artista non muore mai, al massimo si assenta. “Ascoltare la musica”, afferma Bosso, “è un’esperienza dolorosa che affeziona la vista, cambiano i colori, a volte non vedo la ragione per cui già a quattro anni avevo l’esigenza di fare musica. La tecnica serve per poter essere liberi di sprigionare l’energia non nostra ma di qualcun un altro: da lì scaturisce il ruolo del compositore che si serve di altre esperienze”. Ezio era un filosofo della musica, afferma Geoffrey Westley, tastierista dei Bee Gees, arrangiatore di alcuni importanti dischi di Lucio Battisti.
Il padre di Ezio era tranviere, la mamma operaia, in casa la musica si sentiva solo la domenica mattina. Ma il fratello Fabio suona un po’ la chitarra e si accorge dell’incredibile orecchio del bambino di casa. Ezio studia al Conservatorio e fonda a Torino la sua prima band, gli Statuto. La musica lo conquista, scappa di casa a 16 anni inseguendo il sogno del musicista. Va in giro per il mondo suonando dapprima il contrabbasso e poi il pianoforte che soprannominerà “il fratellone”. È un pianoforte Stenway che lo seguirà per sempre nelle tournée e che, a un certo punto, quando la malattia diventerà più incalzante, sarà modificato per rendere più leggera la pesatura e la corsa della tastiera. Più difficile da controllare, quel piano così modificato, ma meno faticoso e in grado di alleviare il dolore alle braccia. Eccolo Ezio sul palco, su uno sgabello alto, suona quasi stando in piedi. Esegue Al chiaro di luna, il brano di Beethoven che tutti conoscono, ma nessuno lo aveva mai suonato così lentamente, scandisce le note, il pezzo diventa di sei minuti ma il pubblico è in estasi. Già gli spettatori coi quali si rapporta in modo atipico: “Facciamo che vi suono subito il bis, senza fare la sceneggiata di dover uscire e rientrare”, chiede Bosso e il suo pubblico non può non approvare.
“La musica cambia la vita e ci salva, è una cosa che trascende i confini”, afferma in un’intervista, “ma la musica, proprio come la vita, si deve affrontare in un solo modo: insieme! Racconta Paolo Fresu: “Ci trovammo al Future Festival di Bologna; c’erano Paolo Buonvino, Simonetti e c’era Ezio che non conoscevo più di tanto. Alla fine dell’incontro si decise di fare una jam session. Non c’erano musicisti di jazz, apparentemente l’unico ero io ma c’era Ezio che suonava il contrabbasso in una maniera incredibile, era un virtuoso straordinario”. Non aveva certo problemi nel passare dall’amata classica al brano rap o al jazz. Bosso era la musica in un corpo. Enzo De Caro, chitarrista della Smorfia di Troisi, ricorda la prima volta che vide Bosso: “Stava suonando il contrabbasso nella piccola orchestra di Uto Ughi e mi colpì una cosa: mentre i colleghi voltavano i fogli dello spartito vedevo un elemento dell’orchestra che non leggeva la musica. Ezio sapeva tutto a memoria”. Suonare con Ezio era un’esperienza unica, spiegano tutti i collaboratori, per l’empatia che si creava. Tanti ricordi, come l’incontro con Pino Daniele che avrebbe voluto pubblicare un disco di Ezio ma non fu possibile, i tempi non coincisero: Ezio in quel periodo stava lavorando alla colonna sonora di Io non ho paura, il film di Gabriele di Salvatores. “Con Pino Daniele avevamo una cosa in comune”, spiega Bosso, “la fame per la musica e la voglia di essere leggeri, di prendersi in giro”.
Amava Londra e si sentiva a casa negli studi di Abbey Road, luogo magico dove ci sono ancora le chitarre dei Pink Floyd e il Revox con cui i Beatles incisero Sgt.Pepper’s. In quegli studi, Ezio, davanti a una sessantina di elementi della London Symphony Orchestra, sembra volare. È a Londra – racconta Paolo Fresu – che apprendemmo la notizia della sua malattia. “Andammo a cena dopo un concerto, ci raccontò quello che gli stava capitando anticipando quello che gli sarebbe accaduto”. Aveva avuto un incidente d’auto e facendo la Tac gli dissero che il sinistro non aveva lasciato conseguenze ma purtroppo c’era un tumore. Ezio aveva chiaro il percorso lavorativo, lasciato per sempre il contrabbasso a vantaggio del piano e della direzione d’orchestra, avrebbe proseguito sino all’ultimo giorno.
Decide pure di partecipare al Festival di Sanremo e la decisione sembra quasi una testimonianza di chi vuole trasmettere un messaggio positivo e portare la musica classica nel tempio delle canzonette. Il presentatore, Carlo Conti, strilla: “Ezio sei a Sanremo”! E lui risponde ridendo: “Che ci faccio”? Suona una sua composizione, “Following a bird” dall’album The 12th Room, e si prende la standing ovation del teatro Ariston. La musica è una magia – dice Ezio – non è un caso che i direttori abbiano la bacchetta come i maghi. Impegno, studio e passione sono il filo conduttore di una vita.
Bosso ci regala nel film di Verdelli anche l’ultimo messaggio musicale con un brano inedito “The Thing That Remain”. Le cose che restano, la musica per tutti, senza frontiere a patto che il musicista scenda dal piedistallo. “Quando suono divento un altro”, afferma Bosso, “quel compositore con cui convivo, a volte malamente. Ogni brano ha un’indicazione possono essere nuvole sorrisi, granelli di sabbia. Ognuno racconterà la propria storia, io posso solo suggerire la mia”
Articolo del
04/12/2021 -
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