Il documentario del 2018, inedito in Italia, della regista messicana Melissa Elizondo, classe 1987, inaugura e promette una rassegna ricca di spunti visivi e narrativi, con uno sguardo alla società messicana e alle contraddizioni del mondo globalizzato che non è facile incontrare nel cinema contemporaneo. Bartolomé, un insegnante di una scuola della Comunità Los Olivos nelle montagne del Chiapas, racconta il mestiere di insegnante elementare nelle remote comunità rurali messicane, il proprio impegno nel trasformare la scuola in una seconda casa per tutti i bambini della comunità, la missione di trasmettere ai bambini i valori del rispetto, della libertà, della responsabilità e della condivisione. Il racconto diventa corale, con le voci dei bambini che tratteggiano, con leggerezza ma a tratti anche con profonda disperazione, le proprie difficoltà di vita, le paure e le ansie, ma anche i sogni e le speranze, in una realtà sociale povera di mezzi ma ancora ricca di valori, sempre più sotto pressione per la violenza e gli squilibri della società al di fuori della comunità. Bartolomé sente il peso del proprio compito, ma ne apprezza anche la bellezza: fare in modo che ai bambini vengano trasmessi modelli positivi e forniti gli strumenti affinché un giorno possano trovare il proprio spazio nel mondo.
Un compito irripetibile e che non accetta errori, perché una volta adulti non si potrà più rimediare e le loro vite potrebbero essere compromesse per sempre. La voce fuori campo del maestro è categorica: un falegname può sbagliare costruendo una sedia, non dovrà fare altro che metterla da parte e farne un’altra; un maestro no, deve accompagnare nella crescita ogni bambino di quel gruppo numeroso e variopinto di alunni, dai 6 ai 12 anni, tutti insieme affidati alle sue cure, in una classe unica, che può contare fino a 41 alunni. Ciò che serve loro non sono tanto le nozioni o il rispetto del curriculum scolastico, come impone superficialmente l’autorità scolastica, quanto (ri)conquistare il proprio rapporto con gli altri (“il miglior maestro di un bambino è il proprio compagno, non tanto il maestro”, afferma Bartolomé a inizio film), con le proprie famiglie, con la propria comunità e con la società tutta in cui, un giorno, dovrà vivere e sopravvivere.
Scorrono così sullo schermo le splendide immagini delle attività extra scolastiche dei ragazzi, le gite nella palude, per i boschi, le sedute collettive per parlare dell’abuso di alcool dei propri compaesani, le attività fisiche e ludiche: promuovere un bambino fino alle medie, senza che magari abbia imparato a scrivere ma a malapena a leggere (non manca qui la critica all’approccio educativo delle autorità messicane, che non tengono conto delle peculiarità delle comunità rurali), non serve a niente se quel bambino non sarà un buon adulto, in armonia con se stesso e gli altri.
La scrittura del documentario è eccezionale, i monologhi di alcuni bambini arrivano in profondità, con una intensità a cui non siamo più abituati, stereotipati nel nostro approccio alla narrativa documentaristica dai troppi format televisivi di corto respiro. La fotografia è splendida e la regista muove la camera con sapienza, indugiando spesso su immagini dei bambini e delle loro mani stagliati contro il cielo di rara poesia. Nelle intenzioni della Direttrice, Cecilia Romo Pelayo, la rassegna vuole dare spazio e visibilità a un cinema messicano che diversamente non vedremmo nelle sale né sulle piattaforme streaming, un cinema altrimenti “invisibile”, ma che tanto sa e può raccontare del Messico, della sua grandezza e straordinaria complessità, ma anche delle contraddizioni che ogni società e ognuno di noi si porta dentro.
Articolo del
30/09/2022 -
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