Lento planare, gentili dimore, un suono folk rock che somiglia molto alle belle ballate main stream di matrice inglese. E siamo dentro il nuovo disco di Giobbe dal titolo “Gentle Dwellings”, disco che troveremo presto anche in una bella release in vinile. Le dimore qui prendono connotati allegorici di relazioni, di umanità e di riparo da un tempo strano che Micah P. Hinson definisce di indifferenza tra le persone, tanto per citare un folk (questo davvero folk direi) americano questa volta. Il pop dai contorni rock, quel certo modo gentile di realizzare visioni di tramonto e di viaggio. Un disco leggero che molto richiama quel suono gentile di Duncan Sheik. Ed è quasi normale sapere che non siamo i soli ad accostarlo a certi stilemi…
Una strada che non tramonta. Una scelta, quella dell’individualità, che oggi ancora ti appaga o che ti fa rimpiangere il passato? Guardo al mio passato con piacere e senza alcun rimpianto. Sono contento di poter scrivere e fare musica in modo autonomo ed indipendente, ma parte del piacere sta nella condivisione con altri musicisti, che possono solo arricchire l’intera esperienza della realizzazione di un disco. Per questo motivo, sebbene le canzoni siano di “Giobbe”, i musicisti che mi accompagnano e che poi registrano in sala di incisione le proprie parti, sono coinvolti ed invogliati a dare il proprio contribuito individuale e quindi speciale al processo creativo. Non sono mai meri esecutori insomma. Dunque, a ben vedere, la realtà di una “band”, sebbene non in tutto e per tutto, si ripresenta anche nel mio percorso da solista.
Nel team di produzione anche un “arco” prezioso come quello di Marco Pescosolido degli Ondanueve String Quartet. Mi ha colpito questa connessione… poi in realtà la geografia è quella… c’è stata anche una sorta di contaminazione tra i due mondi? Non conoscevo Marco prima di esserci sentiti e poi, di lì a poco, visti in sala di incisione. Il tramite è stato il buon Jex Sagristano, produttore del disco e fondatore della “Sound Inside Records”. La contaminazione è avvenuta direttamente in studio: Marco, che è un fuoriclasse, aveva già ascoltato le canzoni su cui si richiedeva il suo contributo. Ma una volta avviate le session di registrazione, si è espresso in maniera libera e pura, istintiva e aperta alle suggestioni che gli arrivavano dai testi e dalle emozioni trasmesse dalle canzoni. Si è trattato di un momento di vera Magia, a mio parere. Momento per il quale non lo ringrazierò mai abbastanza, e che ricorderò per sempre.
A proposito di mondo: l’Inghilterra di Duncan Sheik è assai prepotente. Lui come altri in stile. Cosa ne pensi? Non è la prima volta che mi fanno notare queste assonanze con l’artista in questione. Ovviamente ne sono lusingato, sebbene debba ammettere la mia ignoranza: sono dovuto andarmi a riascoltare Duncan Sheik, riconoscendo alcune hit che però non sapevo fossero sue. Non è mai stato tra i miei ascolti, almeno non tra quelli consapevoli e voluti. Detto questo, immagino di poter ricordare molti altri artisti a chi ascolta le mie canzoni, e credo anche che sia naturale associare certi linguaggi simili e determinate atmosfere condivise. Sicuramente mi porto dietro tutto il bagaglio di ascolti e di gusti personali, che mi spingono inevitabilmente a richiamare l’eco di artisti che amo o che mi hanno influenzato nella vita e nella scrittura.
L’Italia non entra in questo disco… oppure mi sbaglio? Prendi qualcosa, rubi dell’altro, restituisci anche qualcosa di tuo? Non so se l’Italia non entri in questo disco. Di sicuro conosco tanti cantautori italiani che scrivono in inglese e che subiscono le mie stesse influenze. Personalmente non credo di rubare da altri, non scrivo pensando a come o cosa farebbe un determinato artista, scimmiottandolo o copiando delle soluzioni spacciandole per mie. Non è proprio questo il mio approccio alla scrittura. Dunque, credo che scrivendo in maniera completamente indipendente, tutto ciò che restituisco è mio, mi rappresenta e mi identifica. Come dicevo prima, però, ho sicuramente un DNA ricco di ascolti ed influenze che in qualche modo restituisco in maniera inconscia ma senza nasconderne la provenienza e l’appartenenza.
E guardandosi attorno? Pensi che un disco come "Gentle Dwellings” trovi un posto dentro questo mondo decisamente futuristico? Come la vedi e come ti difendi da certe omologazioni? Mi guardo ancora intorno e sono interessato al nuovo ed all’evoluzione della Musica in generale. Certo, non so come si collocherà “Gentle Dwellings” all’interno di un mondo futuristico e veloce, in cui un ascolto che richieda più attenzione e pazienza sicuramente può incontrare degli ostacoli. Ma non dare troppa importanza alle contingenze è proprio l’arma migliore con cui mi difendo. Io scrivo le mie canzoni e seguo la mia sensibilità in merito a suoni, arrangiamenti, soluzioni stiulistiche e tutto l’insieme del processo creativo. Tanto mi basta per avere ancora voglia di scrivere canzoni, incidere dischi e suonarli dal vivo.
Articolo del
09/11/2023 -
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