Siamo dentro tinte che inneggiano ad un passato per i nostalgici di quel rock epico e teatrale degli anni ’90, degli Europe e compagnia cantando. Eccolo l’esordio degli stART dal titolo “Frequencies from Nowhere”, formazione veronese che unisce sotto “lo stesso tetto” anime e suoni diversi di diversa estrazione. Quello che ne viene fuori è una sincera urgenza pop rock dai fortissimi (forse troppo) richiami al passato e una eccessiva sfarzosità in quell’americanismo (sperando si dica così) che sembra inneggiare più al modo cinematografico che al concetto di base. È un disco di grandi epopee… forse troppo distante da quello che siamo oggi. Di sicuro sembra suonato e prodotto con grande mestiere. Starebbe bene in vinile…
Ricerca di sé e rinascita. Tutto questo come l’avete codificato nello storico rock anni ’90? Il nostro concept album “Frequencies from Nowhere” ruota proprio attorno ai temi da te citati: la ricerca di sé e la rinascita. Anche il nostro nome “START” si può vedere in quest’ottica. In tutto il disco ci sono dei “segnali” ricorrenti come, ad esempio, il suono dell’S.O.S in codice Morse che potete trovare nella intro “DREAM”. Questa richiesta di aiuto si ripete in altri brani e lancia il primo messaggio importante ovvero che il protagonista del nostro viaggio ha bisogno di aiuto per tornare a casa, per ritrovarsi. Ci ha sempre affascinato un certo tipo di cinema come nel caso di “Contact”, il fatto di guardare all’insù e cercare di cogliere dei segni, di avere delle risposte… che spesso troviamo dentro di noi. C’è una frase presa dal film “Nuovo Cinema Paradiso” che anche i Dream Theatre hanno usato all’interno del loro brano “Take the time” del 1992 dove questo concetto viene espresso molto bene: “Ora che ho perso la vista ci vedo di più”. In tutto il disco ci sono questi riferimenti sonori che favoriscono l’ascoltatore a costruirsi un proprio viaggio e ambientarlo dove preferisce, potrebbe essere una galassia lontana, come il mercato del quartiere sotto casa. “Time Hunters I” inizia proprio così: con dei suoni metropolitani, delle voci, dei rumori, ma non si capisce esattamente da dove provengano.
Il viaggio del protagonista è descritto come un percorso tra galassie interiori e cosmiche. Quanto è importante per voi l'elemento simbolico dello spazio? Be è fondamentale, il simbolismo dello spazio ci ha sempre incuriosito e nel titolo abbiamo voluto usare “nowhere” proprio per non specificare il luogo esatto. Ci siamo divertiti a giocare con questo simbolismo anche nella copertina del disco, usando questa ambientazione “space” come mezzo per rappresentare un non-luogo, ma a pensarci bene anche un non-tempo. L’immagine rimanda senz’altro allo spazio però non chiarisce se è un posto lontano o magari il pianeta Terra in un futuro non troppo distante… Un altro elemento simbolico importante è la strada che si vede sempre nella cover. Una strada che si può percorrere solo in una direzione, ma le luci che si vedono in lontananza sono la destinazione o è proprio il luogo da cui fugge il protagonista?
E nella vita personale di ogni giorno? Si dice che un certo rock si è… non si fa… Credo che scegliere di fare un disco di 14 brani al giorno d’oggi sia molto rock! In un periodo storico, tra l’altro, in cui si predilige il singolo all’album, in cui il rock non è certo il genere di punta in Italia. La nostra formazione musicale arriva dagli anni ’90, quando ci si trovava in sala prove anche solo per ascoltare un cd appena uscito, quando si facevano svariati chilometri per andare a vedere dal vivo un gruppo semi sconosciuto. In Italia (e a Verona) in quegli anni c’era davvero un bel fermento e sono contento di averlo vissuto a pieno. Essere qui, dopo tutti questi anni a parlare di musica e fare musica assieme a dei musicisti di livello mi riempie d’orgoglio e penso che la vera rivoluzione rock sia proprio questa: cercare di fare quello che si ama. Qualche giorno fa ho letto su un giornale la storia di un uomo di 87 anni che ogni giorno ancora apre la sua libreria e va a lavorare contento di stare nel suo mondo, be penso che ci sia poco di più rock di questo signore!
E poi i richiami ai cliché anni ’90 sono inevitabili. Quante citazioni ci sono nel disco? “Frequencies from Nowhere” nasce da un’urgenza di raccontare un momento e di usare la musica come medicina, come soluzione a un disagio di quel periodo. Quando io e Andrea abbiamo deciso di fare musica assieme è stato del tutto naturale fare hard rock perché è la musica che amiamo da sempre. Pur ascoltando veramente di tutto, i grandi gruppi degli anni’80 e ’90 sono i nostri riferimenti. Da tastierista la mia composizione è caratterizzata dalla melodia e dalla ricerca armonica. Ho sempre apprezzato certi tipi di soluzioni che si trovano nei lavori di Sting, dei Toto, dei Pink Floyd, degli Europe solo per citarne alcuni. Apprezzo anche un certo tipo di rock scandinavo, i Nightwish per esempio li trovo molto interessanti. Una curiosità che lascio a te e ai nostri lettori è la citazione di un campionamento vocale dei Pantera che c’è in un nostro brano, vediamo quanti di voi riusciranno a trovarla…
E poi gli strumentali… l’apertura e la chiusura… perché? A quale tipo di urgenza risponde? Il brano strumentale all’inizio ha lo scopo di introdurre e preparare il protagonista al viaggio che sta per compiere. Anche in questo caso si sentono suoni e rumori che lasciano la libertà all’ascoltatore di immaginarsi in determinato luogo e in una determinata situazione. Ci piace pensare che con lo stato d’animo che suscitano queste “frequenze”, l’ascoltatore inizi il proprio personale viaggio. La chiusura è composta da due canzoni: Time Hunters I e II; i brani sono accomunati dal bpm, dalla tonalità e da alcuni accordi ricorrenti, sebbene siano due brani distinti. Lo strumentale ce lo siamo immaginato come un risveglio che fa prendere coscienza al protagonista, una nuova consapevolezza e nel brano finale egli comprende che la cosa più preziosa è avere al proprio fianco le persone di cui ti fidi e a cui vuoi bene.
Articolo del
05/02/2025 -
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