Diciamocelo chiaramente: il 1969 sarà stato l’anno dello sbarco sulla Luna, della Manson Family, di Woodstock e di Altamont, di ABBEY ROAD, di IN THE COURT OF THE CRIMSON KING, e dei primi due album dei Led Zeppelin, ok. Ma è stato indubbiamente anche l’anno di Serge Gainsbourg, che con quello che sarebbe divenuto il suo pezzo più famoso, Je t'aime... moi non plus, il cui 45 giri arrivò solo al terzo posto in Francia, al secondo in Italia, ma toccò il numero uno in Svizzera, Austria, Norvegia, Svezia e - udite, udite! - nel Regno Unito.
Un’impresa, quella di sfondare nel mercato anglosassone, riuscita a pochissimi europei dopo che i Beatles diffusero il nuovo verbo. Ma Gainsbourg non si fermò lì: Je t'aime... moi non plus arrivò anche al n. 58 della Hot 100 di Billboard, negli USA, impresa ancora più formidabile. È decisamente il momento giusto per una biografia di Gainsbourg, autore poco frequentato in Italia, ma popolarissimo in Francia (bien sûr), dove ha goduto e gode tuttora degli stessi vastissimi consensi da noi riservati ad artisti come Celentano, Battisti o De André. E questa di Radulovic è una buona biografia, superiore all’unica altra che mi risulta pubblicata in Italia, ovvero "Per un pugno di Gitanes" di Sylvie Simmons (Arcana, 2004).
Scritta bene, anche se un po’ scolastica nello stile, tesa soprattutto alla ricostruzione della complessa personalità umana ed artistica del musicista francese più che alla narrazione dettagliata del singolo aneddoto. L’obiettivo è centrato: il racconto di come un figlio di immigrati russo-ebrei, scampati ai nazisti, che si ritiene così brutto da non riuscire a guardarsi allo specchio, desideroso di fare il pittore, si sia trasformato in un musicista geniale e in un raffinato dandy decadente provocatore e tombeur de femmes (per cui il paragone più immediato è il nostro Gabriele D’Annunzio), autore di uno dei capolavori rock di tutti i tempi (HISTOIRE DE MELODY NELSON), ma mai prigioniero di un genere, convince e non poco. Stupende le pagine sugli amori con Brigitte Bardot e Jane Birkin; belle le veloci analisi dei brani in un libro che parla di musica, certo, ma la illumina con la verità umana che le sta dietro. Ci sono solo due piccoli appunti da fare. In primis, avrebbe giovato riservare uno spazio maggiore ai tanti aneddoti di una vita maledetta che non ha nulla da invidiare a quella delle rockstar anglosassoni, ma è comprensibile che la mole del volume (340 pp.) abbia dissuaso editore ed autrice dallo scendere in dettagli. In secundis, da notare un unico, ma non trascurabile, errore: Gainsbourg non fu il primo bianco a registrare in Giamaica, il 12 luglio 1979: il primato spetta ai Rolling Stones, tra 1972 e 1973, per GOATS HEAD SOUP.
Nel complesso, un’ottima biografia per una vita rock’n’roll come poche, utile per iniziare la scoperta di un grande artista, spesso in anticipo sui tempi
Articolo del
21/10/2019 -
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