Negli anni Sessanta diventare figli dei fiori era facilissimo. Per prima cosa si acquistavano un paio di jeans su cui qualcuno disegnava sopra le margherite. I capelli dovevano essere fluenti e le basette ondulate; le ragazze si vestivano con lunghe tuniche indiane e indossavano tante perline. In sintonia con l’universo, lo slogan lanciato nei primi festival giovanili, promossi dalla rivista “Re Nudo” , era: “Fate l’amore non fate la guerra”.
In quegli anni ruggenti eravamo un po’ tutti omologati su questo standard, tutti meno i ragazzi di un gruppo: gli Alunni del Sole, un ensemble che, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta, vendette milioni di dischi, vincendo anche alcune delle manifestazioni dell’epoca come il Festivalbar riservato alle canzoni più gettonate nei juke box. La storia del gruppo – allora si chiamavano complessi - è raccontata in un libro appena pubblicato da Arcana, “Alunni del sole-Paolo Morelli, l’inventore dell’armonia”, scritto da Bruno Morelli, chitarrista e soprattutto fratello di Paolo cioè l’autore di tutti i testi e delle musiche di circa 150 canzoni. Il volume pubblicato da Arcana ci fa conoscere la storia del “complesso” che in realtà non era tale visto che tutte le canzoni erano composte da un cantautore, Paolo Morelli, il quale scelse di trincerarsi dietro il nome preso da un libro di Giuseppe Marotta.
Ma non è tutto: il racconto di quei formidabili anni mette al centro il ruolo delle case discografiche nella storia della musica italiana. Tempi in cui si poteva entrare in sala di registrazione per sperimentare nuove sonorità liberamente, senza vincoli di tempo. Il racconto di Bruno Morelli, coadiuvato nella scrittura da Antonio G. D’Errico, svela il rapporto degli Alunni del sole con Nanni Ricordi, Ennio Melis della Rca e, prima di tutti, Toni Casetta della Produttori Associati per la quale incideva anche Fabrizio De André che di Paolo Morelli divenne amico.
In più occasioni Nanni Ricordi ed Ennio Melis proposero a Morelli di “abrogare” il nome del gruppo per valorizzare quello del cantautore Morelli ma l’interessato scelse diversamente. Il fondatore e leader degli Alunni del sole veniva da una famiglia di musicisti professionisti e lui stesso aveva studiato musica tanto da diventare un maestro nel comporre le melodie: nelle 150 canzoni pubblicate possiamo ascoltare un vasto ventaglio di soluzioni melodiche.
Non si può dire altrettanto della varietà dei testi, sempre incentrati sull’ideale di un amore impossibile, perso, e addirittura solo sognato. Basta scorrere la hit dei 45 giri che ebbero record di vendite, da “Concerto” in cui cantava il “ricordo di una notte che non finiva mai” a… “E mi manchi tanto”, versi di un passato che non va via dalla mente, per arrivare a Liù, il brano che vinse il Festivalbar come canzone più gettonata nei juke box italiani. Dicevamo che gli Alunni del sole non erano tra i figli dei fiori e nemmeno erano stati travolti dalla rivoluzione beat che aveva portato in Italia i suoni nuovi. Morelli si rifaceva alla musica classica e ai suoi studi del pianoforte. A regalare agli Alunni il successo del grande pubblico fu Renzo Arbore che li volle in studio per una trasmissione della Rai che, dal 1969 al 1971, fece epoca: Speciale per voi.
Erano occasioni straordinarie perché venivano ospitati in diretta artisti di primo piano, accompagnati dagli Alunni del sole. Andarono in onda Lucio Battisti, gli Afrodite’s child, Barry Ryan e tanti altri, tutti “processati” da un pubblico fortemente ideologicizzato che accusò, ad esempio, Battisti di non essere impegnato politicamente. In quella trasmissione, Paolo Morelli si scatenava con sorprendenti evoluzioni al pianoforte. Vendere i dischi e trionfare in quelle manifestazioni che si chiamavano Cantagiro, Festivalbar, Canzonissima, Disco per l’estate, significava accrescere l’autostima e stimolarsi a migliorare. Quest’ultimo compito era assunto in pieno dai produttori musicali, Roberto Dané, Nanni Ricordi, Ennio Melis e quel Vincenzo Micocci a cui molti anni dopo Alberto Fortis avrebbe dedicato “Vincenzo e Milano” con la polemica contro Roma. Morelli non avrebbe voluto cambiare mai il proprio editore ma furono le contingenze a costringerlo.
La prima volta avvenne con l’acquisizione della Produttori Associati da parte della Ricordi; un passaggio determinato dalla cessione dell’azienda dopo che Casetta aveva acquistato il Castello di Carimate per farne un mega centro di produzione discografico. Fu un investimento eccessivo che la Produttori associati non poteva reggere nonostante gli anticipi intascati dalla Ricordi per la distribuzione dei dischi. L’altro passaggio di scuderia per gli Alunni fu quello da Ricordi a Rca; l’intento era di andare a lavorare con Ennio Melis, l’uomo che per trent’anni ha compiuto un autentico miracolo, realizzando sulla Tiburtina, a dodici chilometri da Roma, il maggiore stabilimento di produzione di dischi, sezione italiana della multinazionale americana.
Una scelta, quella degli Alunni del sole, che non fu gradita da Nanni Ricordi: “Avete deciso di passare con la puttana di via Tiburtina”, chiese al fratello di Paolo il quale rispose per via diplomatica: “Dopo anni di vita milanese vogliamo rientrare a casa. E poi stiamo andando dal gigante di via Tiburtina”. Ma la motivazione più profonda della scelta era da ricercare nel distacco che avevano manifestato i produttori della Ricordi nel momento in cui la storica casa di edizioni musicali si avviava alla ristrutturazione.
Storie della discografia di un tempo che fu. Il libro riporta stralci dei diari di Paolo Morelli ed è interessante scoprire che nacque un’amicizia con Fabrizio De André e che i loro incontri nella sala di registrazione alla Produttori associati furono proficui: “La cosa più importante che ho imparato da Fabrizio”, scrisse nel diario il leader degli Alunni del sole, “è il suo modo di concepire l’intera costruzione di un album.
Ho notato che in tutti i suoi lavori ha sempre scelto un progetto intorno al quale articolare le canzoni”. Morelli attraversa gli anni Settanta con dischi che ignorano completamente la scena della nuova canzone napoletana, quella rivoluzione in atto allora dall’etnorock di Napoli Centrale, all’ironica fantasia di Edoardo Bennato sino alla nuova frontiera di Pino Daniele. Ma a Napoli gli Alunni andavano comunque a pescare nella tradizione rivestendola di musica classicheggiante, come accadde con “Tarantè” e con “A Canzunciella” che sarebbe stata ripresa da due milanesi doc come Enrico Ruggeri e Ornella Vanoni. Musiche rivestite dai suoni delle nuove tastiere che erano uscite sul mercato in grado di simulare intere sezioni i d’archi, i cori e altri strumenti dell’orchestra classica.
In realtà il legame con la canzone napoletana era caratterizzato da una forte riconoscibilità anche in brani che per tanti anni Morelli aveva cantato in italiano perché la musica abita a Napoli. La storia degli Alunni del sole ci offre poi l’immagine intima di un cantautore introverso che addirittura rompe i rapporti col mondo esterno, chiuso in casa ad esercitarsi sette ore al giorno al pianoforte e poi a dipingere quadri di dimensioni sempre più grandi. Ma c’è una costante: in ogni forma d’arte, Morelli si esprime sempre con nostalgia.
Di questo ne parla apertamente anche in una pagina tratta dal diario: “La relazione tra nostalgia e la ricerca del senso della vita? Se la prima mi riporta alla passione della mia adolescenza, la seconda implica di volgere lo sguardo verso il futuro a quanto non ho ancora realizzato appieno, a qualcosa da vivere che non ho ancora vissuto avvertendo il desiderio di mettermi in gioco” … Solo che nelle canzoni la nostalgia è vissuta pure nel presente. È nostalgia di quello che poteva essere e non è stato ma è anche il rimpianto della propria casa, quella dell’infanzia a Napoli, lasciata a 18 anni per andare a cercare il successo nella capitale.
Nella vita reale, Paolo sceglie di vivere a casa col fratello Bruno. Ma è una vita appartata. Di sera poche volte si ferma a cenare; una tazza di latte gli basta e poi s’intrattiene al telefono con una donna, l’amore grande, eterno e cantato in tutte le composizioni forse nella convinzione che sia l’unico modo possibile di vivere. Un amore sognato e perfettamente riuscito anche se vissuto da lontano, sapendo che solo quella donna dall’altro capo del telefono lo avrebbe capito. La vita di Paolo si chiuse per un infarto nell’autunno del 2013.
Non è un luogo comune dire che da un po’ di tempo era cambiato: Bruno racconta di aver chiesto al fratello se fosse vero che i sogni belli non finiscono. “Nunn’è overo, arriva ‘o mumento che pure i sogni svaniscono” fu la risposta di Paolo. Poi una mattina di quell’autunno, i due fratelli uscirono insieme in città, a Roma: Paolo aspettava in macchina che Bruno finisse le compere. Quando Bruno tornò, guardando dal finestrino dell’auto, ebbe l’impressione che il fratello si fosse addormentato. Non era così, il suonatore di ricordi si era assentato definitivamente.
Articolo del
27/04/2020 -
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