Al talento smisurato di Richard Thompson, figura leggendaria della popular music, ed in particolare del folk-rock inglese, si associano un’umiltà ammirevole e una simpatia irresistibile (può testimoniarlo chiunque l’abbia visto in azione su un palco).
Tagliato il traguardo dell’autobiografia con “Beeswing - Losing My Way and Finding My Voice 1967-1975”, il musicista, ancora attivissimo, narra le vicende di parte della propria vita fornendo allo stesso tempo uno spaccato dell’Inghilterra degli anni Sessanta e Settanta.
Citati gli artisti che hanno esercitato una forte influenza su di lui (tra cui, Les Paul, Hank Marvin, la chitarrista Ida Presti, Andrés Segovia, Duke Ellington, Lovin’ Spoonful e Byrds), Thompson dichiara lucidamente l’importanza del rock and roll e dei nuovi fermenti culturali anglo-americani come strumenti di emancipazione che permisero ai giovani di sottrarsi al rigido controllo degli adulti benpensanti.
I Beatles, dice Thompson, rivoluzionarono tutto quando cominciarono a scrivere e a suonare i propri pezzi: nel campo della musica, ci si dovette adeguare e seguirne l’esempio. Ammette candidamente, però, che, con comportamento da snob, all’epoca per lui e per quelli della cerchia dei Fairport Convention i quattro erano troppo “pop”; altre le aspirazioni da coltivare, con sprezzo di un ipotetico successo commerciale: il recupero del patrimonio folk, delle radici, stimolato da album come “Music from Big Pink” della Band, uscito in America nel 1968 e considerato da Thompson uno straordinario spartiacque, un disco che segnava un prima e un dopo nella storia della musica del Novecento.
Ripercorrendo le tappe della propria carriera, il chitarrista non lesina aneddoti e osservazioni molto interessanti: l’esperienza pioneristica del “14 Hour Technicolor Dream”, performance tenutasi nel 1967 all’Alexandra Palace di Londra; Jimi Hendrix; il ruolo fondamentale del DJ John Peel; le session con Sandy Denny; la sorte avversa di Nick Drake. Gustosi i riferimenti all’Italia (le reazioni bizzarre del pubblico romano durante il “Rome Pop Festival” del 1968, i disordini con i reparti antisommossa, il Piper Club).
Suscita curiosità anche l’intransigenza dei gestori dei folk club inglesi: in numerosi locali non erano ammesse interpretazioni di brani tradizionali accompagnati da strumenti. La ricerca disperata e febbrile di Thompson con i Fairport Convention per trovare l’equilibrio perfetto tra tradizione e innovazione, tra passato (suoni sommessi) e modernità (sonorità elettriche), venne considerata alla stregua di un’eresia dai “custodi” del folk. Un’opera splendida come “Liege & Lief” avrebbe messo parzialmente a tacere le voci del dissenso. Il percorso come solista del chitarrista sarebbe iniziato qualche anno dopo.
Superfluo consigliare il libro (per ora, non tradotto in italiano) agli appassionati del musicista: una lettura imperdibile, stimolante e piacevolissima
Articolo del
25/07/2021 -
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