Chiedi chi era Nanni Svampa, un autore, un cantante, un innovatore che ha preceduto Gaber nel teatro canzone, uno che ha tradotto l’opera omnia di Brassens in milanese e in italiano e che del grande maestro francese fu amico.
A rendere merito a un gigante dello spettacolo è il libro “Il mondo di Nanni Svampa” di Michele Sancisi, appena pubblicato da Sagoma Editore. È il racconto di una vita fuori giri con le testimonianze di Paolo Rossi, Enrico De Angelis e Flavio Oreglio. Il libro ci restituisce Svampa artista ma per motivi ovvi non può ridarci l’umanità e l’ironia di Nanni. Per non dar dispiacere al padre – o forse perché non si sa mai nella vita – aveva studiato alla Bocconi e la laurea in Economia è venuta prima di quella in Goliardia, decisiva per la sua carriera. Nanni diede vita al cabaret, quello vero, dissacrante e surreale, così distante da quello odierno succube dei ritmi televisivi, privo del rapporto con il pubblico, contingentato nei minuti tra una pubblicità e l’altra.
A Milano Svampa c’era arrivato nel dopoguerra, lasciata la campagna e il lago Maggiore che sa essere così malinconico - diceva - che arrivati alla sera o ti butti in acqua o ti metti a ridere. Fatto strano, proprio dal lago e dalla stessa provincia sono arrivati a Milano i comici dall’humor folle come Cochi e Renato, Franceso Salvi, Enzo Iacchetti e il Nobel Dario Fo. Nasceva allora la canzone alternativa, contraltare del boom economico dei primi anni Sessanta: capitava che di giorno si celebrasse il trionfo della Borsa e di notte al Derby si cantassero gli sballati, i ladri, i barboni. Nanni non amava la nostalgia ma coltivava i ricordi e così era capace di trattenerti delle ore a descrivere i mestieri che si sono persi sotto l’ombra della Madonnina in una città che stava cambiando velocemente. Nei nebbioni di Milano anni Sessanta, anche se non vedevi a due metri, ti sentivi protetto, il mondo era ovattato e ne potevi approfittare per condurre la tua ragazza in un androne o contro un albero per limonare.
A dare linfa agli spettacoli e alle canzoni giocarono un ruolo decisivo le vecchie osterie, frequentate sino alla fine degli anni Settanta. Notti bianche e in quelle ore nascevano canti e improvvisazioni in una osmosi perfetta tra cabaret e vita reale. I protagonisti di quelle notti rivivevano nelle canzoni come in quelle più conosciute di Gaber e Jannacci affollate di personaggi strambi e da chi portava le scarpe da tennis in un’epoca in cui quel tipo di calzature era riservato solo a chi praticava lo sport. Storie vere o inventate come chi si costruiva da zero la propria vita. Presa la laurea e assolti gli obblighi di leva, Svampa esordisce in teatro ma il padre lo aspetta sveglio alle tre di notte: “Ti ho fatto studiare vent’anni per farti andare a puttane tutte le sere”? gli chiede dando implicitamente una strada definizione del cabaret. La svolta viene coi Gufi: sono quattro ragazzi che si presentano sull’unica rete Rai, vestiti di nero a cantare canzoni macabre e fare gag dissacranti e irriverenti. I Gufi passano in breve tempo dai piccoli spettacoli alle importanti tournée teatrali con un grande successo di pubblico e di dischi venduti. Manco a dirlo in televisione passano un guaio perché una loro canzone, “Non credere che sia l’abito”, sposa l’obiezione di coscienza che allora era un reato e si finiva in carcere.
Per capirci - ed eravamo già nel 1968 - i ragazzi che avevano chiesto di poter prestare servizio civile a favore dei terremotati del Belice, ricevettero in cambio una denuncia cui seguì l’arresto. Esaurita, come capita ai gruppi, l’esperienza comune, Svampa incontra a Parigi il maestro a cui doveva l’ispirazione per il suo repertorio, Brassens. A differenza di Fabrizio De André che non volle mai incontralo per il timore di rovinare un mito in quanto si diceva che Brassens avesse un brutto carattere, Svampa diventa amico dello chansonnier-filosofo. “Ci incontrammo a casa sua in una villetta a schiera nella periferia di Parigi”, ricordava Svampa, “aveva uno studio nel seminterrato e un salotto senza un quadro dove se ne stava una gatta strabica”. Prima vennero le traduzioni del mondo Brassens in milanese, un dialetto che grazie alle parole tronche derivanti dal francese, si prestava alla scrittura in milanese. Nel 1990 Svampa pubblica un libro per l’editrice Muzzio e resta ancora l’unico volume che riporta tutte le canzoni di Brassens tradotte in italiano.
Qualche anno dopo uscirà un doppio CD intitolato “Donne, gorilla, fantasmi e lillà”, omaggio italiano a Brassens: 25 canzoni, comprese tre versioni di Fabrizio De André. Il produttore del disco è Roy Tallant, il musicista che convinse Svampa a cambiare etichetta e lasciare la gloriosa Durium, una delle più importanti case discografiche, dopo tanti anni e mille dischi. Tra l’altro la Durium fu la prima in Italia a realizzare le collane di musica folk con la Milanese, la Napoletana del gigantesco Roberto Murolo e la Romana. In quartetto coi Gufi, in trio con l’attrice Francesca Mazzola e in duo con il grande jazzista Lino Patruno. Nanni Svampa va in scena e con qualsiasi formazione catalizza lo spettacolo su di sé, cercando sempre di rappresentare il proprio tempo con ironia e distacco. Chi sono gli eredi di Svampa? Il libro di Michele Sancisi indica su tutti Elio delle Storie tese e Paolo Rossi, autore “della prefazione. “Ci sono quelli che dicono ma perché non fate le canzoni come una volta”, si è chiesto Svampa, “ma io ho cantato la periferia quando Lambrate era periferia, adesso la periferia è l’hinterland e quello lo cantano i rapper.
È cambiato il mondo. Non pretendo niente. Faccio il testimone di un patrimonio che voglio che resti ai giovani e non solo… come il latino, come la letteratura francese”. E allora chi si chiede chi fosse Nanni Svampa vada a cercare video e dischi: benvenuto in Svampalandia.
Articolo del
07/03/2022 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|