Lo scriverò subito: questa è una bellissima autobiografia, scritta bene, a cuore aperto, sincera, autocritica. È l’autobiografia di un essere umano, un irlandese nato in un quartiere popolare di Dublino, da padre cattolico e madre protestante, che a un certo punto della sua vita si è trovato ad essere prima una rockstar, poi un controverso attivista. Gli amanti delle biografie tutte sesso, droga e rock’n’roll rimarranno delusi: la scena in cui una cameriera entra nella stanza d’hotel degli U2 a Londra e trova Bono, Edge e Larry inginocchiati e intenti a pregare e si unisce a loro non ha molto a che fare con le prodezze dei Led Zeppelin.
Ma questo libro presenta ben altri piaceri per il lettore, benché alla triade suddetta sostituisca quella fede, rock e carità. Va anche detto che la fede di Bono e compagni è sempre stata piuttosto particolare: molto libera su alcool e sesso (come testimonia il racconto della prima volta con la moglie Ali, nella cameretta di un adolescente Bono: all’arrivo del padre, l’allora Paul Hewson fa nascondere la ragazza sotto il letto), tanto intensa da indurre i giovani U2 ad aderire a Shalom, un gruppo di integralisti cristiani dublinese, e a portarli a un passo dallo scioglimento dopo “OCTOBER” per non cedere alle lusinghe del successo, che pure era stato fortissimamente voluto e cercato. Ciò porterà Adam Clayton a rifiutare la religione e a darsi alla triade del rock’n’roll, mentre il gruppo rinascerà nel segno di un impegno cristiano profuso nella musica e che ebbe il suo primo frutto in “Sunday Bloody Sunday”.
Qui è la radice del messianismo che fece la fortuna degli U2, ma anche del controverso impegno di attivista di Bono, che dopo essere passato attraverso Band Aid, Live Aid e Artists United Against Apartheid, approderà alle trattative con i presidenti USA (Clinton, Bush 2, Obama) e il governo UK (Blair), in un turbinio di frequentazioni del jet set del Potere oggetto di pesanti critiche. Critiche a volte errate, come nel caso delle trattative con lo staff di George W. Bush, sicuramente uno dei peggiori della storia recente, che portarono però al più grande stanziamento di fondi USA per la lotta all’AIDS in Africa; altre volte giustificate. Bono non si nasconde, né si giustifica. Enumera gli attacchi subiti e non solo accenna anche alle critiche ricevute dagli stessi membri della band, seccatissimi del suo coinvolgimento con l’establishment, ma le fa proprie: ammette l'inclinazione a farsi assorbire dagli ambienti del potere, un tempo contestati, per cercare di cambiarli. D’altro canto, la radice di questo atteggiamento sta proprio nel presupposto cristiano della nonviolenza estrema, del porgere l’altra guancia, di quell’arrendersi che dà il titolo al volume. Lo stesso atteggiamento che porta oggi molti pacifisti ad affermare la necessità della resa degli ucraini all’aggressione russa: la resa mette fine alla violenza, nella loro prospettiva. Che è opinabile ed è criticata, appunto come è successo a Bono.
Non c’è ovviamente - e per fortuna - solo la storia di Bono come attivista: c’è anche moltissima musica, che regala aneddoti sorprendenti: chi avrebbe detto che The Edge, uno dei chitarristi più essenziali della storia del rock, abbia come proprio feticcio personale il prog, che in particolare la sua band preferita siano gli Yes e che il suo particolare gusto per gli armonici derivi dallo stile, ipertecnico e barocco, di Steve Howe? Eppure, è così. Se potevamo sospettare con buona certezza di beccarci che tra i modelli vocali di Bono ci fosse Bowie (ed è così), chi avrebbe suggerito il nome di Siouxsie Sioux? Quanti avrebbero pensato che “I Will Follow” fosse nata dal tentativo di Bono di spiegare a The Edge come fare a suonare come Keith Levine dei P.I.L.? E che spasso leggere di Lemmy Kilmister che si improvvisa roadie dei giovanissimi U2, ai primi passi londinesi. O di Bono che scrive a John Lennon perché produca “BOY”. O, ancora, della rivalità coi Virgin Prunes del cugino di Bono Gavin Friday con gli U2, poi risoltasi al punto tale che Friday ancora oggi è tra i migliori amici e consiglieri di Bono, uno di quelli che hanno creduto in questa autobiografia e spinto perché Bono la scrivesse, dopo le prime pagine buttate giù in occasione dell’operazione al cuore del 2016, ma anche colui che impedì agli U2 di scartare “With Or Without You”, da loro giudicata “una brutta canzone pop”. E Friday: “Cos’ha che non va la musica pop? Ascoltate la melodia, è un capolavoro. Sembra Scott Walker”.
Efficace l’escamotage della scelta di 40 canzoni significative, che permette a Bono di raccontare della propria vita vagando liberamente tra ordine cronologico e tematico, seguendo il filo del discorso, ma parlando al contempo di molto più di 40 canzoni. Decisamente l’opera migliore uscita dal mondo U2 nel Terzo Millennio.
Articolo del
13/01/2023 -
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