Sono trascorsi dieci anni dalla scomparsa di Lou Reed e la lettura di questo bel libro, di recente pubblicazione, è forse il modo migliore per ricordarlo.
Lui l’anti-divo per eccellenza, appassionato di poesia, lui il chitarrista e cantante, prima con i Velvet Underground di John Cale, Nico e Andy Warhol, poi come solista. Il libro si intitola “Lou Reed - Il Re di New York”, appellativo che gli aveva riservato David Bowie durante un concerto al Madison Square Garden. Sì, ma su quale parte della città Lou esercitava il suo regno? Chi erano i suoi sudditi? Tutte quelle persone disilluse e decadenti che si aggiravano lungo le strade di New York, persone tristi, a volte poco raccomandabili, ma con cui Lou sentiva l’esigenza di entrare in contatto. Erano gli “Hollow Men”, proprio come quelli descritti in una poesia di T.S. Eliot, autore che viene accostato a Lou Reed in una lettera di un fan.
Questo documento è presente - insieme ad un mucchio di altre cose - nell’archivio personale di Lou che Laurie Anderson, sua moglie, ha donato alla Biblioteca Pubblica di New York. Ci sono voluti sei anni di lungo lavoro per analizzare tutto il materiale nuovo che improvvisamente era a disposizione ed è stato per questo che il libro è stato pubblicato in ritardo. Will Hermes, autore dell’opera, è un esperto della scena musicale americana fine anni Sessanta e primi Settanta.
Scrive su Rolling Stones e collabora sia con il New York Times che con Pitchfork. Anche lui è un cittadino di New York, proprio come lo era Lou Reed. Il testo si dipana lungo 740 pagine ricche di personaggi, di storie e di curiosità che sono state ben tradotte in italiano, con un linguaggio vivo che rende tutto più attuale, da Chiara Veltri e da Paola De Angelis, che operano da anni nel settore di musica e testi del rock. Il libro non è tanto una biografia di Lou Reed (lui per primo era contrario alle biografie) ma il racconto della New York di quel periodo.
Non è quindi storia individuale, ma di una collettività. Emerge la figura di Delmore Schwartz, per esempio, professore e poeta, un uomo libero e assolutamente geniale, che fu il mentore di Lou Reed, iscritto al suo corso di scrittura all’Università. All’epoca Lou era già stato folgorato dal Rock and Roll, che gli aveva salvato la vita, ma fu grazie a lui che avvertì l’esigenza di trasformare il linguaggio del rock e farlo diventare musica per adulti.
Entrano così nei testi delle canzoni argomenti tabù come il sesso, la droga e la solitudine. Le prime versioni di “Heroin”, “ I’m Waiting For My Man” e “Pale Blue Eyes” erano dei folk-blues acustici che volvano imitare Bob Dylan ma, al tempo stesso, volevano trasferire la sensibilità della letteratura nei testi della musica rock. Lou Reed fu decisamente un innovatore in campo musicale e anche un precursore del movimento punk, secondo quanto dichiarato da Patti Smith, che lo ammirava molto. Era facile incontrarlo in strada a New York, ma lui si infastidiva se qualcuno si avvicinava e gli rivolgeva la parola.
Non voleva seccature. Era cattivo e non aveva un buon carattere - ha dichiarato John Cale - si sentiva superiore agli altri e non fu certo per caso se mandò all’aria dopo pochi mesi quella che fu la “reunion” dei Velvet Underground nel 1993. Anche con David Bowie litigava spesso, anche se poi i due finivano sempre per trovare un punto di intesa. Michael Stipe dei R.E.M. sostiene che era un’icona dell’intero movimento “queer”, in realtà però risulta che lui non abbia mai voluto prendere una posizione ben precisa, non parlava volentieri di questo. Potrete leggere anche la genesi di “Perfect Day” la delicata “slow ballad” che però non è una canzone d’amore in senso stretto, perché non descrive l’incontro d’amore con una donna: una bella giornata passata insieme, questo sì, ma la sua compagna di quel “giorno perfetto” era l’eroina.
Sul libro c’è anche il lato politico di Lou Reed che emerse con forza sotto la presidenza di G.W. Bush, nel 1989, anno di pubblicazione di “New York”. un inno alla rivolta, un invito ad assumere responsabilità sociali in una New York devastata dalla droga e dall’A.I.D.S. All’epoca il regista Martin Scorsese chiese a Lou Reed se poteva fare un film tratto da quel disco, ma poi non se ne fece niente. New York era per Lou una continua fonte di ispirazione, ma anche di disperazione, di malessere. Era per lui quello che era Dublino per James Joyce, il grande scrittore irlandese.
L’ultima fase della vita di Lou è stata a suo dire “illuminata” dall’incontro con Laurie Anderson, reduce dal successo di “O Superman”. Si erano incontrati ad una mostra di apparecchi audio e di sofisticati “device” elettronici, cose di cui erano entrambi appassionati. L’intesa è stata immediata. Trascorsero giorni felici insieme fin quando riuscirono a viverli in pienezza, nel sole, prima del sopraggiungere della malattia, delle cure ospedaliere. Ma anche il racconto della fine è lo stesso importante, incredibilmente poetico. Questo libro è il risultato di un lavoro di documentazione imponente, che non trascura i dettagli, ma non per questo rende la lettura pesante.
Lou Reed viene descritto anche attraverso interviste ad altri ed è sempre inquadrato all’interno di un determinato periodo, di un’epoca. Lou era sempre insoddisfatto, era ambizioso e voleva raggiungere qualcosa di meglio, qualcosa di più. Forse è stato proprio grazie a questo che l’ascolto dei suoi dischi, ancora oggi, conserva un’intima tensione verso la libertà nei suoni, nelle idee, nei comportamenti, insomma verso il Rock and Roll.
Articolo del
31/10/2023 -
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