Uscita ad aprile, la monografia di Stefano Isidoro Bianchi dedicata a diviene anche un “involontario” e sentito omaggio al musicista/ingegnere del suono scomparso qualche giorno fa.
Saggio molto interessante, “Steve Albini. Big Black, Rapeman, Shellac”, nella sua concisione fornisce al lettore incuriosito tutte le informazioni necessarie a inquadrare il personaggio.
I cenni biografici essenziali sono sufficienti a contestualizzare l’attività artistica di Albini. L’adolescenza inquieta trascorsa nel Montana; l’isolamento, la noia totale e il vuoto esistenziale come tratti peculiari della vita di provincia, che troveranno sfogo in canzoni fragorose, i cui testi riportano vicende di sbandati, abusi, squallore, violenza, perversione; l’assenza di qualsiasi valutazione morale in merito agli argomenti trattati.
L’autore mette in rilievo la singolarità del soggetto del suo studio. La perizia e l’originalità di Albini in qualità di musicista e ingegnere del suono, e ovviamente le controversie e le polemiche suscitate sistematicamente dalle dichiarazioni da lui rilasciate. Un bastiancontrario provocatore tacciato ‒ e non stupisce, di fronte alle sue affermazioni ‒ di razzismo, sessismo, omofobia e antisemitismo. Però, anche un individuo integerrimo nei confronti dei fan e della propria musica (gustoso l’episodio relativo alla truffa dell’etichetta Homestead, smascherata dallo stesso Albini), risolutamente indipendente, e avverso a qualunque tipo di compromesso.
Bianchi si sofferma sulla fama ottenuta come ingegnere del suono nella registrazione di dischi quali “Surfer Rosa” (Pixies), “Pod” (Breeders), “Tweez” (Slint), “Rid of Me” (PJ Harvey), “In Utero” (Nirvana), sottolinea l’atteggiamento pragmatico (tipicamente americano) con cui Albini presta il proprio operato al di fuori del circuito underground, e ripercorre le tappe della sua carriera di musicista di Big Black, Rapeman e Shellac, con un’analisi di numerosi brani incisi dai gruppi. I riferimenti ai testi sono fondamentali per farsi un’idea più chiara della persona oggetto di studio.
Ciliegine sulla torta, nella parte finale, le pagine con gli aneddoti e le osservazioni forniti da Albini che riguardano le esperienze vissute con diverse band durante le session di registrazione (Pixies, Wedding Present, Bitch Magnet… dal dileggio si salvano pochi degli artisti citati), e la lunga, illuminante intervista condotta dall’autore a fine anni Novanta.
Ovviamente imperdibile per chiunque abbia a cuore la musica indipendente, non solo americana; e come non provare piacere all’idea che ci sia ancora qualcuno, nel nostro paese scalcinato, disposto a impiegare tempo e a prodigarsi per produrre un libro del genere, così lontano dalle logiche del mercato editoriale?
Articolo del
13/05/2024 -
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