I “due John” (Flansburgh e Linnell) dei They Might Be Giants sono un’istituzione del cosiddetto “indie rock” dalla carriera ultratrentennale, decollata nel lontano 1987 quando la loro Don’t Let’s Start divenne una hit grazie a Mtv. Da allora, prolifici e costanti come poche altre band, non hanno mai smesso – pur intervallando la produzione “ufficiale” con qualche incursione mirata nel mondo della “musica per bambini” – e in questi giorni arrivano a pubblicare il loro ventesimo album I LIKE FUN, occasione per fare una chiacchierata con l’arguto frontman John Linnell.
L’elemento dei They Might Be Giants che salta agli occhi è che siete una delle band più prolifiche di tutti i tempi. Questo è il vostro 20° disco e inoltre ogni vostro album contiene tra le 15 e le 18 canzoni.
E’ sempre stata una nostra caratteristica. Ci piacciono le canzoni brevi. Una tradizione degli anni 70, prima che mettessimo su la band, era quella di avere canzoni di 5, 7 o anche 10 minuti di durata, con un massimo di 8 canzoni per un intero album. Quella per un po’ è stata la regola. Ma noi siamo venuti fuori durante il periodo del punk rock, dove si supponeva che tu tirassi fuori la tua idea e poi basta, fine [del pezzo]. Non volevamo trattenerci troppo a lungo, o avere lunghi assoli di chitarra, quindi le canzoni erano tutte molto brevi. E quindi credo che in parte sia l’influenza del periodo in cui abbiamo cominciato a lavorare. Ci sono sempre piaciute le canzoni corte. Ma per quanto riguarda il numero di canzoni che abbiamo pubblicato, sai, noi siamo in giro da un bel po’ di tempo. Quindi il punto è che noi siamo in due, ognuno di noi scrive un sacco di canzoni, e pubblichiamo album da più di 30 anni. E penso che sia la questione principale. Il fatto è che non abbiamo mai smesso di lavorare, abbiamo continuato per tutto questo tempo. Siamo sempre stati pieni di entusiasmo e anche un po’ compulsivi, nel nostro lavoro. E questo ha significato che non abbiamo mai avuto un vero e proprio break. Un sacco di band si separano e poi, qualche anno dopo, tornano in circolazione.
Voi non vi siete mai separati.
No, non ci siamo mai separati. Abbiamo continuato. E quindi abbiamo avuto un ciclo per cui abbiamo pubblicato un album probabilmente, ogni due anni. Facciamo uscire un disco e poi andiamo in tour. E’ una specie di ciclo biennale.
Trovi che sia cambiato in questi anni il vostro pubblico rispetto a quando iniziaste?
Noi non conosciamo personalmente tutte le persone del nostro pubblico, quindi non possiamo avere un’idea precisa di chi sono. Ma una cosa la posso dire: è un pubblico molto vario, composto da persone di diversi tipi e di diverse età. La cosa che hanno in comune è che sono persone a cui piacciono le canzoni pop. Non credo che esista un tipico membro del pubblico. Il fatto è che siamo in giro da abbastanza tempo, per cui un po’ della gente a cui piacevamo 20 anni fa ritornano a vederci. E c’è anche gente che è nata molto tempo dopo che abbiamo iniziato che sta venendo a vederci. E come probabilmente saprai, abbiamo fatto diversi dischi per bambini, cosicché ci sono alcuni di quei bambini che ora sono cresciuti e vengono a vederci, negli show che facciamo per gli adulti.
Questo nuovo album I LIKE FUN l’avete registrato nello stesso studio usato per FLOOD, uno dei vostri primi dischi. Come mai? L’avete fatto forse per ricatturare l’energia dei vostri esordi?
Penso che sia stato più che altro per caso. Il nostro ingegnere del suono “storico”, con cui lavoriamo da un sacco di tempo, fin dal 1990, l’incontrammo per la prima volta in uno studio a Midtown Manhattan , dove registrammo il nostro terzo album, FLOOD. E abbiamo continuato a lavorare con lui anche se siamo passati a registrare da una sala all’altra. Però è capitato che lo studio in cui avevamo registrato FLOOD è diventato disponibile, è stato messo in vendita. E lui l’ha acquistato insieme a dell’altra gente. E’ per questo che ci siamo ritornati, è perché è praticamente diventato il quartier generale di questa persona. Ma è bello esserci ritornati, perché è un luogo per noi familiare ed è in una parte di Manhattan molto vicina all’Empire State Building. Quindi è un quartiere molto familiare per noi, ed è stato bello tornarci.
Mi ha sempre molto affascinato l’atteggiamento Do It Yourself dei They Might Be Giants. Da qualche anno siete anche totalmente indipendenti come etichetta discografica, e mi sembra che lo preferiate a essere su una major o mi sbaglio?
Credo che il nostro rapporto con la Elektra fosse in effetti un buon rapporto, per la maggior parte del tempo. Quando eravamo all’Elektra ci concedevano un sacco di libertà. Ma credo anche perché avevamo iniziato con un’etichetta indipendente, quindi ovviamente sapevamo quello che stavamo facendo, e ci avevano dato la stessa libertà anche prima che firmassimo con una major. L’Elektra sapeva che cosa avrebbe avuto. Avevamo fatto un paio di dischi e ci eravamo fatti conoscere. Ma ovviamente a tutti piace intromettersi un po’, e quando sei a capo di una major alla fine vuoi esercitare il tuo potere. Poi, sai, io non penso che sia necessariamente una cosa negativa. Certamente un sacco di band hanno bisogno di farsi dare una direzione, e vogliono che qualcuno gli dia dei consigli, che le aiuti. Noi, però, siamo persone molto sulle nostre, possiamo essere molto pignoli su alcune cose che magari non hanno grandissima importanza. Siamo persone molto sulle nostre.
Ma non credi che essere su una major dia anche maggiore esposizione? Voi eravate passati spessissimo da Mtv durante quel periodo.
Oggi [però] è sicuramente un mondo molto diverso da allora. Tuttavia noi venivamo passati da Mtv anche prima di firmare con una major. Il nostro primo album [con Elektra] è del 1990, ma noi già negli anni 80 facevamo i nostri video. Avevamo un amico che stava cominciando come regista di video, quindi riuscivamo a realizzarli senza spendere molti soldi: è così che siamo riusciti a mettere un piede nella porta e a passare su Mtv. Siamo stati molto fortunati. Il fatto dell’Elektra è che, come hai detto tu, loro erano distribuiti a livello internazionale e ci organizzavano tour al di fuori degli Stati Uniti, dove non eravamo mai stati per conto nostro. Ma come hai detto tu, è molto diverso adesso. Ora da un lato non abbiamo questo enorme budget per fare cose promozionali, ma dall’altro è anche molto più economico fare le cose. Per via del fatto che siamo una band conosciuta, possiamo fare dei video con pochi soldi e postarli da qualche parte, ed è già un ottimo strumento di promozione. Ovviamente la gente ha già sentito parlare di noi, quindi noi siamo in una buona posizione per essere indipendenti, abbiamo passato un sacco di anni a farci conoscere. Ma penso che sia piuttosto difficile per una band che comincia adesso. Ma per noi, che abbiamo una certa fama, è molto economico lavorare in un ambito DYI. E’ molto diverso da com’era 20 anni fa, quando dovevamo spendere un sacco di soldi per i dischi e per i video. Oggi costa tutto molto meno.
Avete dichiarato che le canzoni di I LIKE FUN parlano di “morte, terrore e fallimento”. Ma si può dire invece che un po’ tutte le canzoni dei They Might Be Giants vertono su questi temi?
Io tendo a dire che il “concept” si manifesta solo alla fine, capisci cosa intendo? Componiamo tutte le canzoni e mentre siamo all’opera operiamo in modo intuitivo per quanto riguarda la maniera di mettere tutto insieme. Ma poi alla fine, facciamo un passo indietro e ci diciamo: “oh! Quest’album contiene un sacco di canzoni che parlano di fallimento. Ma non è assolutamente pianificato. Non prendiamo una decisione all’inizio: “questo sarà il nostro “death album”. Non abbiamo mai fatto un album partendo dal concept, con l’unica eccezione di quelli per bambini. Uno, per esempio, era incentrato sulla “scienza”. Era una serie di album con dei temi, ma erano per bambini. In genere, no, non pensiamo in termini di concept. Anche se credo possa essere allarmante il fatto che abbiamo così tante canzoni che girano intorno al tema della morte, questa volta. In qualche modo ne abbiamo parlato spesso, ma stavolta sono davvero tante.
Puoi dirci qualcosa del servizio Dial-a-song? So che l’avete rimesso in piedi da poco.
Credo che abbiamo pensato che ora non dobbiamo più affidarci alla vecchia tecnologia. Perché noi avevamo sempre dei problemi nei primi anni 80, quando abbiamo iniziato il Dial-a-song: queste segreterie telefoniche non erano molto affidabili. Erano queste segreteria con le cassette, noi mettevamo una canzone su una cassetta, ma poi si cambiava da una cassetta a un’altra. E queste segreterie si rompevano sempre. Abbiamo sempre avuto dei problemi. Avevamo circa tre o quattro di queste segreterie, mentre una era al negozio per la riparazione intanto magari un’altra si rompeva… Ci davano un sacco di mal di testa.
La gente pagava per ascoltare queste canzoni?
No, no, era gratis. Sarebbe costato chiamando dall’Italia, ma a New York era gratis. Da qualche altra parte costava come una chiamata a lungo raggio. Ma ora è diverso. Ora le possiamo mettere on-line e si possono ascoltare gratis anche da altre nazioni usando Internet. Ad ogni modo, se vuoi pagare puoi farlo. Comunque, i soldi non vanno a noi. Anche con il vecchio sistema via telefono non guadagnavamo soldi, li guadagnava la compagnia telefonica.
Vi aiutò molto a diventare popolari, all’epoca.
Quando abbiamo lanciato il Dial-a-song, era una maniera molto inusuale per promuovere una band. E penso che adesso tutto il resto del mondo si sia allineato a noi. Oggi è normale ascoltare musica dal telefono, si può acquistare una canzone da casa… Lo fanno tutti. Ma nel 1982, quando abbiamo iniziato noi, fummo i primi a pensare: forse c’è gente che non vuole uscire da casa ma vuole ugualmente sentire della musica… come possiamo aiutarli?
C’erano artisti all’epoca in cui iniziaste – tra la metà degli anni 80 e gli anni 90 – che ritieni agissero con delle idee simili alle vostre? O eravate troppo particolari per avere dei “pari”?
No, penso che siamo “particolari” adesso, perché siamo ancora attivi. Sai, le band che c’erano quando abbiamo iniziato, per la maggior parte si sono sciolte, o i loro membri si sono messi a fare altre cose. Quando iniziammo, ci esibivamo in alcuni club dove gli altri artisti che si esibivano non erano musicisti, ma gente che faceva “performance” come roteare su un piede…Suonavamo in questi strani piccoli club sulla Lower East Side a New York, a metà degli anni 80. Ma poi, gradualmente, passammo a suonare nei più tipici locali rock, quindi alla fine iniziammo a fare dei tour fuori da New York. E a quel punto, alla fine degli anni 80, c’erano un sacco di altre band con cui avevamo delle affinità, con cui andavamo in tour insieme e di cui diventammo amici. Ma come ho detto prima, un sacco di queste band adesso sono scomparse, si sono sciolte o sono passate a fare altre cose. Così adesso siamo rimasti solo noi, che continuiamo a fare le nostre cose.
Escludendo l’ultimo I LIKE FUN, qual è l’album dei They Might Be Giants a cui sei rimasto più affezionato?
Cambia tutto il tempo, domani ti darei probabilmente una risposta differente, ma se me lo chiedi oggi ti dico JOIN US (del 2011 n.d.r.). Sono passati diversi anni da quando è uscito e con il tempo si guadagna una nuova prospettiva sulle cose, lo sto riascoltando in questi giorni e mi piace [ancora] molto. Di recente poi abbiamo ripreso in mano le canzoni di MINK CAR che è uscito nel 2001, perché abbiamo fatto uno show in cui abbiamo suonato un sacco di canzoni da quell’album, ed è stato divertente anche perché erano canzoni che avevamo suonato poco dal vivo, quindi è stato eccitante. Penso che in linea di massima mi piacciano le nostre cose degli ultimi 10 anni, sento una maggiore vicinanza nei loro confronti. So che un sacco di gente, un sacco di vecchi fan, preferiscono le cose degli anni 80, anche perché magari dopo hanno smesso di ascoltarci. Ma io, invece, preferisco le nuove canzoni perché si riferiscono alle cose che ho in testa adesso. E’ per questo che ti ho citato JOIN US.
Hai citato MINK CAR. Non lo poteste promuovere con un tour perché uscì l’11 settembre 2001, giusto?
Sì, fu una coincidenza sfortunata il fatto che uscì quel giorno, perché poi parte del tour fu cancellato perché non si poteva volare. Inoltre l’umore [di quei giorni] era pessimo, poi in seguito ci fu questa guerra folle con l’Iraq… Quindi è stato un periodo terribile. Ma poi risentendolo ho pensato: wow, abbiamo registrato l’intero album prima dell’11 settembre… Tutto il fottuto album proviene dalla “preistoria”, prima che tutto cambiasse. Lo puoi ascoltare e pensarci su, a com’era la vita prima dell’11 settembre. Uno degli album successivi, THE ELSE, è stato scritto durante la guerra in Iraq, e noi eravamo piuttosto sconvolti e arrabbiati. Non ci piaceva il governo, non ci piaceva il presidente e odiavamo la guerra… Così, un sacco di questi elementi sono rientrati nell’album , ci sono delle canzoni che si riferiscono obliquamente a tutta la situazione. C’è una canzone chiamata The Shadow Government e un’altra chiamata Mesopotamia.
A proposito di politica, ho l’impressione che sia molto presente anche su I LIKE FUN. Per esempio, An Insult To The Fact Checkers è molto contemporanea.
Quella è una canzone di John Flansburgh, dovresti chiederlo a lui. Ma penso che tu abbia ragione. L’attuale situazione politica si è riverberata su alcune canzoni dell’album. Ma in verità non abbiamo ancora assorbito bene quello che è successo, perché è stato così deprimente e così folle, che stiamo ancora cercando di capire che cosa possiamo dire su di essa. Per esempio, Eminem ha fatto una canzone davvero buona su Donald Trump. Ma io non saprei come approcciare l’argomento. Non mi sono ancora ripreso [ride, n.d.r.].
Fate molti tour con i TMBG ma siete venuti molto di rado in Italia o sbaglio?
Io ricordo la prima volta che siamo venuti. Abbiamo suonato a Modena nel 1990 a un grande festival. E questo è stato prima… credo che nessuno in Italia avesse mai sentito parlare di noi, quindi eravamo questa band completamente sconosciuta.
E non siete mai venuti a Roma.
Io e mia moglie siamo stati a Roma un paio d’anni fa. A me piace moltissimo stare a Roma. E sarebbe davvero divertente suonarci. Stavo controllando… Sembra che abbiamo fatto uno show a Milano [l’8 maggio 1992]. Il 1992 è stata l’ultima volta che siamo stati in Italia, quindi è passato davvero un sacco di tempo. Mi piacerebbe tantissimo tornare. Sono sicuro che avremmo un pubblico. E’ solo una questione di mettere insieme un tour. Ovviamente è sempre molto caro viaggiare. Poi, più lontano è… La cosa più economica è viaggiare su brevi distanze. Per esempio, un tour del Regno Unito è molto economico per noi, perché devi semplicemente guidare da una città all’altra, lo fai rapidamente e guadagni un sacco di soldi. L’Italia è più complicata. Ma a Roma ci verrò sicuramente in vacanza.
Articolo del
04/04/2018 -
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