Intervista alla cantautrice, musicista e artista genovese.
Come nasce questo nuovo disco? Nasce dal bisogno di dare una forma e un senso a un percorso di crisi e discese nei propri piccoli inferi, di distacchi dolorosi, di accettazione di sé, delle paure, delle proprie parti più scomode per poi tornare a trovare un’integrazione fra le parti. È una specie di viaggio immobile, una catabasi in cui io sono sia Orfeo che Euridice e forse gli stessi Inferi che vanno attraversati…ma è tutt’altro che un lavoro autoreferenziale, credo, anzi. C’è il bisogno di essere molto onesta sulla mia vita affettiva, il rifiuto di certi schemi ipercompetitivi, la consapevolezza di essere parte di un tutto in cui alla fine ognuno di noi è poca cosa nella sua finitezza ma c’è anche lo stupore, il tentativo di tenere vivo uno sguardo fanciullesco, la propria forza creativa . Ho sentito la necessità di rivivere e recuperare le mie esperienze musicali vissute fino a questo momento, di giocare con le suggestioni culturali della mia adolescenza. Perché ogni viaggio non è mai concluso, e il passato ritorna…
Nelle canzoni contenute in questo lavoro usi lingue diverse, come mai questa scelta? Potrei dire perché scrivere in lingue che non sono la tua lingua principale a volte aiuta a essere più diretti, urgenti, e perché volevo giocare con diverse musicalità e possibilità espressive. Ma i processi sono stati differenti a seconda della lingua che ho usato, o meglio che mi è venuto da usare: nel caso dei pezzi in inglese e in calabrese, suonavo un riff o improvvisavo su un loop e i testi sono nati così, direttamente in quella lingua/dialetto (che è quello di tre dei miei nonni e di mio padre). Nel caso del francese, c'è un gioco più mediato e in parte meditato: ci sono riferimenti o dirette citazioni di poeti che ho amato ma con cui ho anche giocato: vedi "Les fleurs du bien" che allude e ribalta "Les fleurs du mal" di Baudelaire, o la citazione da "Le bateau îvre" di Rimbaud in "Chissene" ; "Être soi-même=être un autre" poi è quasi un tributo a quel "je est un autre" di rimbaudiana memoria che ha anticipato le teorie freudiane, il surrealismo…
Come è stato lavorare agli arrangiamenti con Giulio Gaietto? Molto stimolante, divertente, a tratti sfidante. Abbiamo sperimentato, giocato, parlato, ascoltato molto. In alcuni brani abbiamo rispettato l’urgenza dei provini e tenuto le parti che io avevo già registrato con GarageBand, anche se ri-cucinando il suono in una maniera molto particolare, che è un po’ una ricetta segreta…in altri casi le canzoni hanno avuto evoluzioni davvero curiose, non c’è stato uno schema pre-fissato è andato tutto fluidamente, in maniera molto creativa. Giulio come produttore è stato bravo a rispettare il mio bisogno di spaziare fra i miei diversi riferimenti ma anche ad intuire che il collante sarebbe stato un suono caldo, sanguigno, essenziale ma “nerboruto”, mi verrebbe da dire. Giulio è un polistrumentista ma è prima di tutto un ottimo bassista, si deve al suo peculiare gusto ritmico quel guizzo nervoso che spazia dalle atmosfere morriconiane de “La sola cosa che c’è” al giro serrato di basso quasi alla Beastie Boys di “Être soi-même”. Importanti anche i contributi degli altri musicisti, Roberto Zanisi (guimbri, chitarra portoghese, guiro) e Federico Lagomarsino (batteria). Raramente chiedo a chi suona sui miei dischi di eseguire una parte già scritta, mi interessa che ci mettano del loro.
In genere quando componi hai un metodo preciso o lasci esplodere l'ispirazione? Non c’è uno schema fisso, anche se col tempo mi sono creata un metodo-non metodo. Parto quasi sempre da tracce, visioni, pezzi, più raramente stendo prima tutto il testo o tutta la parte musicale. Più spesso parto da un riff di chitarra o altro strumento, dal loop di un suono, a volte da una melodia che mi gira in testa e registro con la voce sul cellulare, a volte da una o più frasi che ho appuntato da cui poi sviluppo il testo, a volte da un’immagine o dalle libere associazioni scaturite dai miei collage. Succede anche che cucia assieme parti di testi e musiche che avevo inizialmente pensato separatamente. Diciamo che in generale c’è una prima fase molto libera, poi lavoro piuttosto di fino per incastrare parole, metrica, melodia. L’ispirazione per una canzone, in sè, può arrivare tanto in momenti noiosissimi come di sovrastimolazione creativa.
Quali sono i tuoi punti di riferimento musicali? Elenco quelli che mi vengono in mente in ordine sparso: Franco Battiato, Pj Harvey, Diamanda Galàs, Patti Smith, i primi R.E.M., Nirvana, Sonic Youth, Neil Young, Ennio Morricone, Fabrizio De André, Velvet Underground, Sufjan Stevens, Portishead, Massive Attack, Nina Simone, Jimi Hendrix, Edith Piaf, Tinariwen, Radiohead, i canti delle processioni della Madonna, Madonna, Musicanova, i dischi elettrici di Bob Dylan, Björk, la segheria davanti alla casa della mia infanzia.
Come vedi l'attuale scena musicale italiana? Perché, ce n’è una sola? Fermo restando che credo ci siano tante robe interessanti e una pletora di inutilia sia tra i sommersi che tra i salvati del mainstream, non sono sicura sia un bene mettere tutto in un calderone unico, fare del Premio Tenco una succursale di Sanremo, fare i giovanilisti a tutti i costi quando la metà di quelli che incensano trapper e simili non li capiscono affatto. A me non dispiacciono affatto artisti come Ghali o Madame, per far qualche nome. Preferisco un brano pop ben prodotto e con buone intuizioni a una brutta canzone che vorrebbe essere “d’autore” ma magari è solo pretenziosa e scritta male. Mi piace la rottura di alcuni schemi dell’immaginario italico-maschilista che operano artistə come i due che ho citato, e mi piace chi sa mescolare i linguaggi, i generi… Però prima di inventare fenomeni bisognerebbe dare tempo al tempo, e credo che ci siano delle differenze nel modo in cui ci si approccia alla forma canzone, soprattutto alla scrittura e che sia giusto riconoscerle. Credo che ci sia stata una svalutazione miope di una peculiarità nella nostra musica leggera, quella di chi si applica in un certo modo a intagliare la “parola cantata” e non può o non vuole essere sempre pronə al vestito musicale più in voga. In Italia ci sono diversə cantautori e cantautrici che restano di super-nicchia perché non godono di grandi apparati promozionali, non sono portatə per fare gli influencer, non hanno la fortuna di essere in uno di quei due-tre giri che godono di una maggiore esposizione, o perché sono intellettualmente troppo onestə per indossare il vestitino - musicale e non - del momento. Tra lə artiste di cui apprezzo il lavoro e che credo meriterebbero molta più attenzione, cito Max Manfredi, Giorgia Del Mese, Sabrina Napoleone, Sara Velardo.
Progetti futuri? Suonare il più possibile il mio ultimo disco in giro; fare una mostra dei miei collage/pitture; imparare a suonare il pianoforte; portare avanti alcuni progetti musicali e teatrali paralleli a quello solista; diventare una brava produttrice; fare una nuotata ogni tanto; godermi i miei affetti.
Articolo del
04/12/2022 -
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