Suoni contemporanei che si fondono con la tradizione, esplorando nuovi territori grazie all’uso dell’elettronica e dei sintetizzatori. Ma questa è solo una sintesi parziale del nuovo disco di Nicola Di Tommaso, uscito l’8 marzo per Filibusta Records. “Learn something new” è un lavoro che stupisce per coerenza e consapevolezza jazzistica grazie a composizioni originali che, lasciando ampio spazio a interpretazioni e contaminazioni stilistiche, si radicano nella forza e nella stabilità del grande jazz. I musicisti che hanno preso parte a questa avventura sono tra i nomi di spicco della nuova scena italiana, distinti per stile, capacità tecnica e originalità: Vittorio Solimene, all’organo hammond e synth, Matteo Bultrini alla batteria e il guru di consolidata fama Luca Spagnoletti all’elettronica. Abbiamo chiesto a Nicola Di Tommaso di guidarci in questa sua nuova avventura discografica
Partiamo dal titolo del disco, che a nostro avviso è molto significativo, Learn something new e che sembra quasi una dichiarazione di intenti. Ha un significato particolare per te? Si, questo titolo in fondo mi rappresenta. Mi spiego meglio... una delle cose più importanti per me nella vita e nella musica è quella di trovare sempre qualcosa di nuovo da imparare. Volevo sperimentare la mia musica con una nuova formazione ed il trio con l’organo mi è sembrato un mezzo che mi poteva permettere di attraversare diversi suoni e periodi musicali. Il punto di partenza è ovviamente il suono degli hammond trio che hanno fatto la storia di questa formazione e parallelamente esplorare sonorità diverse
Raccontaci anche la nascita di questo trio, la sua evoluzione nel tempo e in sintesi come sei arrivato alla sua pubblicazione E’ molto semplice, siamo tutti amici e suoniamo insieme da diverso tempo in diverse formazioni. Dopo diverse session tra di noi, mi è cominciata a ronzare in testa l’idea di registrare un disco con questa formazione perchè ero molto soddisfatto della musica che ne veniva fuori e credo che probabilmente fosse un desiderio che avevo da tempo. In più Vittorio Solimene suona anche synth e tastiere, quindi la possibilità timbrica era molto ampia e questo mi ha convinto ulteriormente. La registrazione del disco è stata naturale come una “suonata” tra amici
In questo disco non manca l’utilizzo dell’elettronica. Quanto ti affascina l’utilizzo di questo mezzo (se così possiamo chiamarlo) in un linguaggio come quello del jazz? Amo molto la musica di Luca Spagnoletti, in arte Pixfoil, lo conosco e lo seguo da molto tempo, per questo gli ho chiesto di collaborare e gli ho lasciato libertà nei suoi interventi. Mi affascina l’effetto che l’elettronica può suscitare insieme agli strumenti analogici, è una possibilità espressiva in più
In un’epoca dove i confini sono sempre più sottili ha senso ancora parlare di generi confezionati oppure si sta andando verso una condivisione di linguaggi? Il Jazz dalle sue origini è nato come una condivisione di linguaggi. Quindi credo cha avere un’atteggiamento severo sei confronti delle contaminazioni e dei recenti sviluppi di questa musica ci metterebbe nella stessa posizione dei critici che ai tempi scrivevano che Charlie Parker e John Coltrane non erano musicisti di jazz. Come un idioma che si trasforma nel tempo, il Jazz fin dalla sua genesi assorbe diversi linguaggi. Quindi la risposta è si stiamo andando (lo spero vivamente) verso una condivisione di linguaggi
La chitarra nel jazz, parliamo di diversi anni fa, veniva vista spesso come uno strumento di accompagnamento. Chiaramente, e per fortuna, le cose sono cambiate grazie anche all’apporto di musicisti importanti. Che ruolo ha, dunque, la chitarra in questo periodo? Beh la chitarra ha avuto uno sviluppo tardivo perchè ha dovuto aspettare l’invenzione dell’amplificatore che le ha dato la possibilità di diventare uno strumento solista. La chitarra negli ultimi decenni ha avuto un ruolo importantissimo nel suono e nell’estetica del jazz e dei suoi più recenti sviluppi. Data la sua natura di strumento elettrico ha portato suoni e contaminazioni da diversi generi musicali, influenzando musicisti oggi molto importanti, Brad Mehldau uno di questi. Inoltre è sia uno strumento armonico che melodico con delle peculiarità specifiche che la rendono uno strumento unico
Come musicista sappiamo che sei molto impegnato anche nella didattica. Quanto è importante per te questo aspetto nella musica e quali sono le attività che svolgi a riguardo? E’ un aspetto importantissimo per me. Non mi sono mai sentito propriamente un musicista on the road, direi piuttosto un topo di biblioteca. L’insegnamento è per me un mezzo di sostentamento ma ancora di più un mezzo di indagine su me stesso, una sorta di meditazione. Lavoro da molto tempo al Saint Louis college of music di Roma, che sento casa mia, ho insegnato presso un conservatorio pubblico e girato molto in diversi conservatori europei e non. Il contatto con gli studenti per me è fonte di continua crescita ed arricchimento personale oltre a uno stimolo per continuare a studiare. Inoltre sono interessato all’aspetto divulgativo della didattica tramite produzioni video e un metodo che sta per essere ultimato.
Parlaci anche del tuo percorso musicale, del tuo approccio alla musica e soprattutto quando hai deciso di intraprendere questa strada Non provengo da una famiglia musicale. Come sia nato questo amore per me resta alle soglie del mistero. Ho chiesto una chitarra ai miei genitori dopo aver visto un concerto di Eduardo Bennato, non ricordo l’età, forse sette otto anni. Da lì in poi non ho smesso di studiare. Il mio primo vero maestro è stato Nicola Cordisco che senza dubbio mi ha fatto innamorare del jazz. E poi tutta la trafila dei conservatori e percorsi accademici di vario tipo. Ho avuto la fortuna di avere dei maestri straordinari, per primo Dario Lapenna e poi Umberto Fiorentino. Ovviamente molti altri sono stati i miei riferimenti... Il mio approccio alla musica è semplice: cerco di non aggirare gli ostacoli, mentali o tecnici, che si presentano lungo il mio cammino, credo nel lavoro quotidiano e costante (il metodo della goccia cinese!) e sono molto severo con me stesso. Immagino che il mio modo di approcciarmi alla musica sia stato influenzato dallo studio della chitarra classica, oltre che da una componente caratteriale
Un’ultima domanda prima di lasciarci. Vuoi lasciarci qualche coordinata sulle prossime serate che farai o sui prossimi progetti a cui prenderai parte? E’ appena uscito un disco intitolato “Unorthodox electric classical pieces” uscito per JazzCollection , si tratta di musica classica suonata sulla chitarra elettrica. Ho in mente di registrare a breve un disco in trio con contrabbasso e batteria legato più alla tradizione del jazz e continuare a lavorare con l’hammond trio su territori più contemporanei e da me inesplorati, sicuramente scrivendo musica originale nuova.
Articolo del
04/04/2024 -
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