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Paolo Spaccamonti e Paul Beauchamp
Torturatori
2017
Escape From Today / fratto9 Records
di
Tiberio Flammia
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L’idea di base di questo disco era una sola e semplice: far confluire due mondi distanti in un solo crogiolo che potesse creare qualcosa di potente ed evocativo. Dico “due mondi distanti” perché Paolo Spaccamonti e Paul Beauchamp, a parte il nome, sembravano non avere niente in comune. Il primo è un chitarrista intimista e di ricerca, che sa passare dal noise al post-rock con uno stile particolarissimo.
Il secondo è un musicista elettroacustico americano che suona con archetti, droni e basi elettroniche. L’anno scorso, dopo un tour condiviso, hanno deciso di dare vita a questo album dai forti contrasti. Due lati, uno bianco e uno nero, che condividono uno stesso sfondo. Uno sfondo rosso sangue. Da Torturatori, appunto.
White side: Una rincorsa. Una rincorsa onirica. Senza fretta. Una rincorsa che parte dalle praterie americane e porta fino in India. Un racconto costruito e scambiato. Un racconto fra due amici che parlano tramite strumenti diversi ma che sanno comunicare come fosse la stessa lingua, la Musica appunto. L’armonia musicale in questo caso non può essere categorizzata. Sarebbe fare un torto a questo bellissimo racconto in note e rumori. Se da un lato Spaccamonti con le sue chitarre riesce a creare atmosfere delicatissime che si librano nell’aria, dall’altro lato Beauchamp riesce a riportarle alla realtà grazie all’utilizzo di suoni, droni e strumenti particolari che sanno far alzare una brezza tanto metallica quanto gentile.
Black side: Una malinconia quasi new wave apre questo lato. Il lato nero non poteva che essere così. Un ritmo lento ma ossessivo pervade i primi minuti. Un ritmo lento che però riesce rapidamente a portarti in giro per il mondo. Tanto rapidamente che nel giro di poche note ci sembra di ascoltare Neil Young che suona nella grotta di Echoes dei Pink Floyd. Il ritmo malinconico diventa graffiante. Graffiante e acido. Qui si capisce il perché del nome Torturatori.
Anche in questo caso la fusione fra i due stili apparentemente così lontani riesce a creare un’atmosfera così onirica che è facile trovarsi a dondolare avanti e indietro ad occhi chiusi. Dopo dieci minuti la musica si ferma. Stacco. E ricomincia, lentamente. Con meno rabbia ma con più potenza evocativa, quasi cinematografica. Non si può infatti fare a meno di pensare che questa musica sarebbe perfetta come colonna sonora di film a tinte fosche: da 2001 Odissea nello spazio a “dead man” di Jarmush.
Quando ci si imbatte in musica del genere, che sa attraversare stili e tempi diversi in modo così elegante, è difficile esprimersi a parole, sarebbe forse più facile a gesti, a sorrisi, a sguardi. Buon ascolto signore e signori
Articolo del
25/04/2017 -
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