Secondo disco per Romeo Campagnolo e Matteo Marenduzzo, il duo veneto dei Bob Balera. Parliamo di “Pianeti”, disco dalle tinte decisamente pop rock, macchiate di quel funk d’autore che tanto deve alle gesta epiche di Battisti e Mogol. E oltre al brano “L’Aquila” sono tanti i rimandi sparsi lungo tutto l’ascolto. Forti di questa ispirazione anche dentro le tessiture timbriche della voce portante, i Bob Balera ci regalano un bel disco di vita, di tempo antico, di belle emozioni davvero glam. E noi come sempre indaghiamo a suon di domande quanto meno scontate possibili e ringraziamo Matteo Marenduzzo per essersi fermato con tutti gli amici di Extra! Music Magazine…
Non sembra facile ormai ascoltare dischi così ispirati. “Pianeti” è denso di vita e di mitologia rock anni ’70. Visto il tempo assurdo che viviamo, qual è il tempo di questo disco? Quale tempo lo ha creato e in quale tempo sta vivendo secondo voi? In primis grazie per aver utilizzato il termine ispirato, credo renda felice ogni musicista sentirlo dire riferito ad un proprio disco! Senz'altro l'album attinge a piene mani dagli anni '70, ma allo stesso tempo fa proprie sonorità di altre decadi, dall'elettronica made in italy anni '80 fino a lambire territori più alternative anni '90, mantenendo le coordinate tipiche dello musica italiana più nobile (secondo il nostro gusto) in ambito pop, talvolta miscelate ad un (per noi piacevole e familiare) sapore inglese. Credo fortemente che Pianeti stia vivendo il presente, probabilmente di un universo parallelo, per stare in tema di spazio e fantascienza: fatico infatti a trovare una proposta analoga, almeno tra gli artisti di maggior successo, e la cosa ha del paradossale, visto che ci ispiriamo a brani di culto italiani risalenti a qualche decennio fa.
Il rock di oggi, la canzone d’autore… tutto sembra omologarsi: cosa ne pensate? E che lavoro avete cercato di fare in riferimento alle abitudini di ascolto pop che abbiamo tutti? Distanza o incontro? L'omologazione al giorno d'oggi è propria di vari ambiti, in questo non fa differenza la musica commerciale, che ha sempre sofferto, anche in epoche diverse, di questo costume poco nobile. Scavando però si possono trovare ben altre realtà, spesso molto difficili da scovare, splendidamente nascoste come sono. Noi Bob Balera abbiamo cercato di fare canzoni di cui sentivamo la mancanza, ispirandoci ai nostri idoli di gioventù, provando a misurarci con loro, complice un'etichetta come Dischi Soviet Studio fondamentalmente non interessata a cavalcare tendenze momentanee. Certo il nostro faro è sempre stato scrivere brani coinvolgenti ed orecchiabili al punto giusto, per un pubblico potenzialmente vasto, puntando sui testi di Romeo, che definirei freschi e colorati, come una bibita gassata. Volevamo fare musica mainstream di qualità, fondamentalmente, in un periodo storico in cui però questo particolare genere sembra diventato di nicchia.
Se “L’aquila” è davvero un manifesto a Battisti, l’ultima “L’astronave” sembra un omaggio al prog anni ’70. Dunque il vostro intento è quello di tornare indietro con il modo di pensare alla musica? “L’Aquila” è il nostro personale omaggio a Battisti/Mogol, nato come una sorta di esperimento, quello di immaginare il pezzo come se fosse stato scritto in due epoche differenti: la prima, l'originale, nel 1972, con l'impianto classico della canzone cantautorale; la seconda, nel 1980, periodo Una Giornata Uggiosa, con una vena funky in primo piano, il tutto miscelato ad una spruzzata di chitarre distorte proprie del nostro background anni '90. Con L'Astronave abbiamo giocato a destrutturare qua e là, per risolvere il tutto con una coda orchestrale avulsa dal resto del brano, diciamo un prog in stile Bob Balera, anche perché veniamo da una terra, il Veneto, che ha visto grandi interpreti del genere negli anni '70, attitudine che in qualche modo si è sedimentata nei nostri strumenti. Citando Simon Reynolds, siamo senz'altro un po' retromaniaci, ed è indubbio che il nostro stile guardi più al passato, cercando di tenere, se non altro, almeno un piede nel presente.
Evocativo il video di “Dimmi che”. Anche qui il passato di un walkman… bello questo star lontani dal mondo, dalle sue percezioni… si parla di fiducia in fondo… la vostra chiave di lettura? Si parla di fiducia, più nello specifico di quel momento, spartiacque di tanti rapporti, in cui questa viene a mancare, minando dalle fondamenta il puro sentimento d'amore. Noi guardiamo con disincanto, da una sorta di distanza di sicurezza, un po' tutto quanto ci circonda. Forse il nostro pregio o il nostro difetto.
“Pianeti” è anche un manifesto alla nostra individualità: liberamente espressa, senza maschere… un divieto assoluto oggi? Oggi credo ci sia un atteggiamento più incline ad accettare l'individualità, nel suo essere differente in quanto unica, rispetto al passato. Probabilmente una conquista del presente, o così voglio sperare. In fin dei conti, Nobody Is Normal: inutile far di tutto per somigliare a qualcuno, quando, alla fine, nessuno è normale.
Articolo del
10/12/2022 -
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