Ciao Andrea, bentrovato.
Come nasce il tuo nuovo disco “Paesi semplici”; e come nascono le tue canzoni?
Ciao Marco e un saluto a chi sta leggendo.
Paesi semplici è un disco che non avevo messo in conto: si è formato su un processo creativo piuttosto fluido e spontaneo. Per quanto io abbia iniziato a scriverne le prime canzoni precedentemente l’avvento della pandemia, il fatto di riflettere e produrre in rapporto al contesto, mi ha spinto a ricercare una visione alternativa alla critica (caratterizzante il disco precedente “La minoranza”) per definire così paesaggi interiori ed esteriori quale proposta a cui ambire in un flusso creativo inconsapevolmente definito e intenso.
Negli ultimi anni, in rapporto forse anche alla ricerca di una certa semplificazione della forma delle mie canzoni (processo sempre in atto), la componente letteraria si è definita quale centro del discorso musicale, riconducendomi ad origini e stimoli profondi.
È un lavoro ricco di ospiti importanti come Giovanna Marini, Brunella Selo, Nino Buonocore. Come sei
arrivato a loro?
Ho la presunzione di credere e sperare che questo lavoro abbia rivelato un’identità artistica (probabilmente anche del sottoscritto) da attirare le persone giuste al momento giusto. Anche per questo aspetto tutto è andato come desideravo per “Paesi semplici” e mi riferisco alla fantastica e inaspettata coerenza di questi ospiti strepitosi con le canzoni da loro cantate. Sono stato fortunato nel coincidere con la loro disponibilità, questo sicuramente.
Senza pianificarlo preventivamente, le canzoni, durante la loro formalizzazione, hanno ospitato energie portando “Paesi semplici” ad essere un lavoro indubbiamente corale a prevalente apporto femminile per quanto riguarda gli ospiti.
Giovanna Marini la incontrai a Napoli nell’autunno del 2019 in occasione di una presentazione di un documentario a lei dedicato. Dal primo saluto si è rivelata esattamente come un fan desidera e si prefigura il proprio riferimento. Dopo qualche tempo mi contattò per complimentarsi de “La minoranza” che le regalai in quell’occasione, scambiando pensieri. Approfittai di quell’intesa per esporle il progetto di collaborare ad “Una pausa” e lei intraprese il lavoro di confronto che ci ha portato poi alla canzone cantata insieme.
Brunella Selo è tra i miei riferimenti tanto artistici quanto umani. La conobbi oltre dieci anni fa come suo allievo di canto e oggi sono orgoglioso di una preziosa amicizia. Conoscendola so di star parlando di una persona straordinaria e dunque di un’Artista vera e come ogni punto fermo che si rispetti ha risposto senza esitazioni al mio invito. Credo che il risultato riveli tutta questa fondamentale premessa.
Per Nino Buonocore c’è un altro aneddoto forse simpatico; oltre me anche Giacomo Pedicini, produttore artistico del disco nonché in passato anche bassista di Nino, come Salvio Vassallo che fu il suo batterista e che ha curato parte delle registrazioni di “Paesi semplici” oltre ad averlo missato e masterizzato, riscontrarono una certa affinità fra Taràssaco e lo stile di Buonocore. Decisi allora di proporgli la canzone vincendo un certo imbarazzo legato all’affascinante serietà artistica di Nino che, anche in questo caso, ha rivelato tutta la sua coerenza fra l’Artista e la Persona.
Li ringrazierò per sempre e mi piace ricordare anche Rita Botto, Kaw Sissoko, Giacomo Pedicini, Antonio Esposito, Franco Paolo Perreca, Giosi Cincotti e tutti quanti hanno partecipato a questo disco, senza i quali, probabilmente, non sarei qui a fare questa intervista.
Come è stato lavorare con Giacomo Pedicini agli arrangiamenti?
Con Giacomo lavoro da quando aprì il concerto di Niccolò Fabi nel 2011, con lui continuo ad imparare tante cose e oggi siamo amici. Non avrei potuto scegliere guida migliore data la condivisione di idee sottese al gesto artistico espresso in “Paesi semplici”. Ritengo inoltre che sia intervenuto anche un fattore di supporto umano mutuale nel resistere ad un contesto spesso ostile all’arte, accentuato poi dall’angoscia pandemica in cui versavamo durante la preproduzione e la produzione di “Paesi semplici”.
A differenza di Oltre gli specchi, che pure vide la sua produzione artistica, per Paesi semplici si è lavorato fianco a fianco per cui ogni idea è stata partorita e affrontata insieme (ecco anche perché ho imparato tante cose). Giacomo affronta la musica, conoscendola e amandola, senza prescindere da un complesso più ampio di fattori che non la riducono alla tecnica e alla prassi codificata, per cui ci siamo divertiti a sperimentare i suoni che solo lui avrebbe saputo ricavare da un determinato discorso artistico.
Nel disco c’è il tuo amore per una certa letteratura italiana e in copertina un quadro dipinto da tuo
padre. Vuoi parlarcene?
Mi sono sempre sentito provenire chiaramente dal Novecento per quanto sia stato partorito durante il suo afflato finale. Con un padre classe 1938 ho avuto la fortuna di essere cresciuto con una cultura volta a guardare il paesaggio circostante quale risultato del connubio uomo-natura, la cui complessità non era una diaspora accettata con l’inerzia caratterizzante questo periodo storico. Nello sguardo di Cesare Pavese prima e di Pier Paolo Pasolini poi, di Ignazio Silone, Rocco Scotellaro, Carlo Levi, Danilo Dolci e tante altre belle persone mi è sembrato di ritrovare un orizzonte perfettamente espresso dalla pittura di Franco Cassese, mio padre, con cui abbiamo insieme ritenuto la poesia il gesto politico maggiormente in grado di sublimare la vita stessa.
Hai dei punti di riferimento musicali?
“Ciascuno cresce solo se sognato” diceva appunto Danilo Dolci e credo che questo concetto si leghi bene proprio alla capacità di sognare e la sua importanza. Per questo il bisogno dei Maestri si fa forte perché si individui la propria strada e perché questa sia quella giusta per noi e per gli altri in rapporto al nostro eventuale incontro.
I miei punti di riferimento sono sempre con me e me li tengo stetti. Per fortuna sono una bella e folta compagnia e ad elencarli tutti stancherei chi già con una certa fatica è arrivato a questo punto dell’intervista. Cito quelli che oggi vengono sbrigativamente annoverati nel grande calderone della canzone d’autore Italiana come Francesco De Gregori, Paolo Conte, Lucio Dalla, Claudio Lolli, Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini… e che per aver rinunciato a sfidare il tempo non riescono poi in fondo ad essere sostituiti (per quanto qualcuno ci provi davvero).
Come vedi la scena musicale italiana?
Credo dipenda da quale punto di vista la affrontiamo. Se parliamo di contemporaneità, personalmente quella relativa al così detto mainstream mi sembra alquanto assopita o ancora peggio, incline ad un processo volto ad assecondare unicamente la richiesta senza stimolare una domanda alternativa alla moda del momento.
Per quello che ne so e che potrebbe non essere assolutamente corrispondente ad una verità, mi sembra spesso che ci siano più persone che interpretano la musica quale mezzo per una notorietà piuttosto che per un amore sincero. Non so in quanti saremmo realmente se vi fosse grande consapevolezza delle difficoltà che comporta questo strano amore chiamato mestiere. Ci sono artisti però che mi emozionano e che mi spingono a sperare che non siano personaggi e che non a caso non si sentono frequentemente in radio o tanto meno in tv.
Progetti futuri?
Dopo il concerto di presentazione tenutosi nella mia città, Napoli, lo scorso 14 Gennaio, la settimana prossima riprenderò un giro di concerti per alcune città italiane così come è avvenuto quest’estate quando presentavo in anteprima “Paesi semplici”. Sarò a Firenze, Mestre, Milano, Imola e Bologna rispettivamente nei primi cinque giorni di Febbraio.
Nel frattempo scrivo altre canzoni e mi auguro di consolidare e alimentare un supporto tale da favorire il mio percorso di ricerca e speranza.