Era il 19 ottobre 2010. Quel giorno, con Gianni Minà, avremmo dovuto parlare del suo rapporto con Edoardo Bennato - che lui aveva conosciuto più che bene negli anni 70 e 80 - per il mio libro "Venderò la mia rabbia", poi pubblicato da Arcana un anno più tardi. Prima, però, non resistetti dal farmi raccontare da Minà qualcosa su quell'immensa pletora di personaggi musicali e sportivi che aveva incontrato nel corso della sua lunga carriera. E lui non si fece pregare, anzi: fu un fiume in piena di ricordi e citazioni che oggi mi sembra quanto mai appropriato pubblicare per la prima volta, nella sua forma grezza, con tutti i tic verbali del giornalista torinese che danno l'idea della spontaneità della conversazione.
Come va Gianni? Stai lavorando? Io sono uno che lavora molto. E ho ancora molte attività, questo ringraziando Dio, che mi invento io ovviamente… Perché sennò in questa società non sanno nemmeno che sei nato. Per fortuna all’estero ci prendiamo delle soddisfazioni grandi grandi. Coi festival… mah, ho vinto il premio alla carriera al festival di Berlino tre anni fa. Ho vinto al festival di Montreal, di Siviglia… No, quella è anche l’attività che mi permette di mantenere la famiglia, capisci?
RAI, invece? Sono 12 anni che non ti si vede Qualcuno penserà che sono in pensione da dodici anni. Per fortuna, ogni tanto arriva qualche cosa come questa serata di gala al festival di Berlino. Hanno chiamato il regista dei “Diari della motocicletta” per premiarmi. Salles. L’hanno fatto venire dal Brasile. I tedeschi sono seri. Siccome sapevano che aveva lavorato molto con me…. E’ stata una sorpresa che mi ha quasi commosso, capisci? Al vecchio palazzo del cinema di Berlino… Insomma, una cosa seria. Non è una cosa di tutti i giorni quell’altarino.
Eppure, appunto, alla RAI c'è stato un tempo in cui eri come il prezzemolo. Sì’. Io avevo un’attività frenetica. Già mi dividevo fra il telegiornale… Io ero redattore dello sport, il mio direttore era Andrea Barbato, il mio capo era stato prima Maurizio Barendson, che ha inventato l’informazione sullo sport in televisione. Era un intellettuale, aveva fatto il Centro Sperimentale di Cinematografia, era napoletano… Era un componente di quel gruppo che tanto ha regalato alla cultura italiana e che erano tutti compagni di scuola al liceo, si chiamava Liceo Umberto credo, di Napoli. Parlo di Maurizio Barendson, Antonio Ghirelli – che poi sarebbe addirittura stato capo ufficio stampa di Pertini – e poi Francesco Rosi, il regista, e poi Peppino Patroni Griffi, il drammaturgo, e poi Dudù La Capria lo scrittore, e poi, un po’ più giovane ma nello stesso liceo – si conoscevano da ragazzi – Giorgio Napolitano. Allora questo gruppo che ha regalato al cinema, al teatro, al giornalismo, alla letteratura, tutta la modernità… ha regalato a me, nella persona di Barendson un maestro che mi ha insegnato a leggere certi libri, che mi consigliava i film da andare a vedere… E quando io ho cominciato a essere uno che si distingueva fra i giovani, lui mi fa: “Vuoi andare in America? Ti piace il pugilato? Vuoi raccontare l’avventura di Mohammed Ali che è un protagonista della storia…? Ricordati che c’è la telecronaca diretta. Quindi, o racconti il mondo che è attorno a Mohammed Alì, racconti quello che la gente non vede e non ascolta in Italia, o i soldi che ti diamo per viaggiare sono inutili.
Che anno era? La prima volta che io ho incominciato a occuparmi di… Era il ’64 o ’65, e Mohammed era ritornato… No, aspetta… In quell’epoca Mohammed fu sospeso nel ’67, perché si rifiutò di fare il militare, e poi gli ultimi dieci anni della sua attività negli anni Settanta l’ho seguito in tutti i match nel mondo. In Zaire contro George Foreman. Feci credo la cosa più grossa della mia vita nel campo dello sport, perché l’amicizia con Mohammed mi premise di poter andare nel camerino dopo il match mentre tutte le televisioni erano escluse e via dicendo.
Avevi molta autonomia. Eh, io portavo a casa… Normalmente gli inviati non portano… Io sono diventato non solo amico di Mohammed ma del suo entourage. Angelo Dandi, che è il suo maestro all’angolo…. La mia organizzatrice- interprete era Isabella Rossellini che 19enne lavorava a New York perché il padre, come tutti i vecchi femminari… Rossellini era molto possessivo con le figlie, allora lei andò in America per scegliere un po’ di libertà. Insegnava italiano e faceva l’organizzatrice per la RAI di New York. E con lei facemmo tantissime cose sportive e anche incominciammo a fare le cose sul jazz e sul rock. I servizi… E quando Isabella poi cominciò a fare la fotomodella, sposò Martin Scorsese… passai nelle mani di Lisa Caracciolo che era la moglie di uno dei figli di Rossellini che poi poverino è morto in un incidente d’auto. E con Lisa per esempio facemmo Bob Dylan, il 1° novembre 1978 mi ricordo la data, andammo a cena dopo il concerto con lui… Eravamo a Nashville, in una tournèe che faceva Bob Dylan. Cioè, l’America, con lo sport e con la musica jazz e rock, entrò nella mia vita e nei miei interessi, ma lo devo tutto a Maurizio Barendson, e anche al fatto che frequentavo questi intellettuali napoletani ex-compagni al Liceo Umberto, che mi davano anche la loro interpretazione di questa musica napoletana che si rinnovava sempre, che passava da Carosone a Peppino di Capri. Da Peppino di Capri ai Bennato. Dai Bennato a Pino Daniele. E avanti. Cioè, c’è sempre ogni dieci anni un rinnovamento della musica napoletana, perché a Napoli nascono degli artisti che grazie al fatto che c’è la base NATO (e quindi sentivano molta musica americana) e grazie al fatto che la canzone napoletana non è una canzonetta (la canzone napoletana è qualcosa di serio)… Loro, unendo queste due matrici sempre hanno saputo rinnovare la canzone napoletana. Questa è la forza di chi fa musica a Napoli. Così, a un certo momento, io mi interessavo molto a questi fenomeni. Finché mi intrigarono molto i Bennato. Conobbi prima Eugenio e poi Edoardo.
Facevi molto freelancing oltre alla RAI. Questo però devo andare indietro. Perché io all’epoca già mi dividevo fra due cose: il telegiornale con Barbato e … ci aveva uniti nel ’76 con la riforma della RAI… Divenne direttore della Rai Due Fichera… Un uomo Olivetti. Tu sai che la scuola dei manager colti era l’Olivetti allora, che formava Furio Colombo… Tutti quelli che poi hanno detto qualcosa di importante nella comunicazione. E io facevo… Ci aveva unito Massimo Fichera, il direttore di Rai Due, a me e a Minoli. E facemmo Mixer per due anni. Lui faceva i faccia a faccia politici, e io facevo invece i cantautori italiani. Era fine anni 70. Facemmo tutti. Venivano in una cosa di 15 minuti dove loro si raccontavano. Era il primo modo di conoscere questo universo nuovo che era nato. Vennero tutti. L’unico che non venne è Fabrizio De Andrè che venne dopo quando feci Blitz. Ma comunque c’era già un rapporto forte. E insomma, io mi dividevo fra queste due cose. Poi dovetti scegliere. Per esempio, io fui il produttore de L’altra Domenica, del primo anno e del secondo anno. Barendson ebbe l’idea del programma di sport e spettacolo, e disse a Fichera: “Dammi quel ragazzo che lavora alla radio e che ha la erre moscia”, cioè, fu Barendson a chiederglielo. Io rappresentavo, diciamo, le esigenze di Barendson, e le esigenze di Arbore le rappresentava Ugo Porcelli. Facevamo lunghissime riunioni di redazione… Io addirittura la notte partivo e andavo nei locali d’Italia della domenica, le famose balere, e mi collegavo in diretta con lo studio. Quindi facevo il produttore e l’inviato de L’altra domenica. In più, durante la settimana, ero redattore dello sport. Io ero appena divorziato, non dovevo rendere conto a nessuno di come vivevo, e non avevo famiglia in quel momento… La mia figlia era rimasta con la mia prima moglie che vivono in Messico…E’ una latino-americana la mia prima moglie. Anche quello mi ha aiutato a conoscere quell’universo. E gli artisti anche. Io però questo occuparmi di sport e di cultura musicale (cinema, teatro) era un vizio che avevo dall’inizio degli anni Sessanta. Tieni presente che io ero quello che portava gli scoop ai due giornali beat dell’epoca: Ciao Amici e Big. Ciao Amici nacque prima, e poi venne Big, in concorrenza a Ciao Amici. E il colpo fu nel 65…
Sempre come free lancer. Sempre come free lancer. 17 anni. Per spirito di libertà. Io vorrei scrivere quello che mi pare. E anche perché non mi importava dei soldi, cioè, voglio dirti… I soldi nella maturità ho scoperto che servono anche i soldi… Allora ho fatto a tempo a comprare questa casa [alla Camilluccia a Roma, ndr], quando divenni un divo della televisione, per tre anni, sei ore ogni domenica, divenni uno straconosciuto. Allora in quel momento alla RAI strappai un contratto non più da dipendente e potetti comprarmi questa casa. Ma voglio dire, io da allora mi sono sempre diviso tra lo sport e la cultura musicale, teatrale e cinematografica. Tieni presente che nel 65 io già ero stato ai Twickenham Studios, avevo intervistato i Beatles e ci eravamo dati l’appuntamento in Italia… Quando erano venuti li avevo aspettati alla stazione di Milano, la RAI di Milano, avevo passato le notti con loro… Ero andato in aereo con loro da Genova a Roma… avevo fatto le notti con loro a Roma con la mia Seicento…E avevo scritto almeno sei articoli cambiando nome… pseudonimo, perché li scrivevo per tutti… Ero l’unico che avevo conosciuto i Beatles per ore, capisci? Quindi questi interessi – devo dirti, inculcati come ti ho detto dal “maestro”, che mi invitò da subito a leggere, ad andare al cinema a vedere la nouvelle vague piuttosto che… Voglio dirti, ebbi la fortuna di acculturarmi… Anche in una televisione, l’ho detto adesso, allora la televisione era una fabbrica di cultura anche, eh. Era divulgazione, più che altro, in un’Italia che cominciava ad abbandonare l’anlalfabetismo… Ma non era divulgazione, era proprio far cultura. Così, nel 65 feci anche i Beatles. Con Minoli quando ci trovammo e facemmo insieme per due anni Mixer, io facevo la musica. Che ti posso dire? Qualcuno ha scoperto in questi giorni e mi ha scritto una email che il mitico concerto dei Clash a Bologna lo presentai io. Non me lo ricordavo…
Cioè eri sul palco con i Clash? Non lo sapevo!> E’ perché lo aveva preso Mixer. Lo filmò e poi lo trasmise. Noi veramente in quei pochi anni tentammo proprio di rinnovare tutto quello che era l’interpretazione della nuova musica dei giovani.
Non ti avrei mai associato, sinceramente, con il punk... Anche prima, voglio dirti… I beat e i rockers… Tutto quello che era l’esigenza di esprimersi in musica popolare nel mondo. E io sono orgoglioso che rispetto al 90 per cento di coloro che allora si interessavano a questo, non mi fermai solo al rock. Non fui solo colonizzato dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Andai a cercare il samba, la bossa nova , la cumbia, il tango… e poi tutti i balli centroamericani, cioè, dove c’erano artisti strepitosi, cantautori bravi come Dylan… Chico Buarque de Hollanda è più grande di Dylan, come poeta. Cioè, Dylan non ha mai scritto i versi che ha scritto Chico Buarque de Hollanda. Non solo: la presenza che Chico ebbe sociale e politica. Lui dovette scappare dal Brasile, la dittatura militare lo minacciò, e con lui anche Caetano Veloso e Gilberto Gil, che andarono a vivere in Inghilterra mentre Chico venne a vivere in Italia con la moglie incinta della prima figlia. Faceva qualche tournèe che Sergio Bernardini gli organizzava, come numero d’appoggio, fai conto, a Josephine Baker, a quelle dive della canzone popolare di allora. Ma ha una vita vissuta Chico. Chico ora è stato premiato con la Legion d’onore in Francia, per meriti culturali. Ora è un romanziere di successo, ha scritto quattro libri di successo. In Italia lo pubblicava Mondadori, ora lo pubblicherà Feltrinelli. Il tentare di essere alla moda e quindi di stare legato a tutti i fenomeni che gli Stati Uniti e l’Inghilterra ti imponevano, a un certo momento ha fatto dimenticare l’altra parte del mondo con artisti strepitosi che io ho avuto la fortuna di raccontare. E ci sono almeno tre-quattro programmi, ognuno di quattro-cinque puntate sulla musica… Mi ricordo una serie che facemmo fu “Que Viva Musica”, e che la facemmo Argentina, Uruguay, Brasile, Messico… Raccontammo tutti… Alcuni di questi erano artisti strepitosi. La RAI si faceva convincere. Io feci l’Isola di Wight. Fui a vedere Woodstock e poi ho deciso che bisognava filmare qualcosa di questa roba.
Eri a Woodstock? E che effetto ti fece? Una cosa molto più grande di quanto adesso per snobismo si dice. Solo le migliaia di persone che arrivavano… Certo, fu inattesa. Avvenne tutto… E quindi non era preparato nessuno… la polizia locale… L’anno dopo, a Wight, c’era una mega-organizzazione. Che era un fenomeno uguale a Woodstock, però Wight era stato pensato e programmato e io andai a girare. A Wight con una troupe mia, affittai pure un elicottero… E’ nell’archivio Rai. Quando due anni fa hanno fatto la… ho festeggiato i miei 50 anni di professione, alla Casa del Cinema abbiamo proiettato per una settimana 33 documentari della mia vita, e alcuni erano anche sulla musica. E questo qui di Wight che era la prima puntata di… Si chiamava “Europa Pop e Folk”. Lo facemmo vedere in una giornata… Ti dico solo una cosa: che il documentario inizia con un solo di Jimi Hendrix. C’era Joan Baez, c’erano i Doors. Fu un paio di notti indimenticabili. Fabrizio Zampa faceva il fotografo allora, non era ancora giornalista, veniva dietro di me. Alla fine decidemmo che dovevamo affittare l’elicottero perché sennò non davamo l’idea.. E mangiammo per tre giorni fish& chips perché non avevamo i soldi per nient’altro, perché ce li eravamo spesi nell’affitto dell’elicottero. Ti dico solo questo: quando lo feci vedere a Emanuele Milano, dirigente RAI che poi sarebbe diventato direttore di RaiUno, lui fu colpito… Lui un cattolico, una persona molto rigorosa… Ebbe un dubbio perché il cantante degli Who cantava a torso nudo e si muoveva in modo molto esplicito… Pensa allora..non era mai comparso nulla di simile alla RAI, in una televisione, che c’era solo quella… E lui mi disse: “Certo, si muove un po’ lascivo…” E io gli ho detto: “Però questa è la realtà dei giovani. Vede? Elicottero… Eh, qui ci sono 200.000 persone… O ignoriamo che questo qui sta accadendo nel mondo…” E devo dirti, eccola la grandezza di quei dirigenti che ora dobbiamo rimpiangere, democristiani, devo dire: lui ci pensò un po’ e poi mi disse: “Va bene, va così il documentario”. Voglio dire: di grande apertura mentale. Penso ad adesso e mi vengono i brividi e l’amarezza.
Articolo del
28/03/2023 -
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