È un disco prezioso, fuori dal tempo e dal futuro, denso di classicismi della grande scuola d’autore italiana ma anche figlio di un suono che prende misure certe e consapevoli. Francesco Lattanzi torna con un disco dal titolo emblematico come “Alla morte” dentro cui racconta l’uomo e le sue perenni guerre come scusa buona e allegorica per tessere i fili (e cercarne ragioni) di rapporti che sono mutevoli, che sono in bilico tra follia e ragione romantica. Romantico come il suono di un disco che non cerca il futuro ma prende di petto la radice di una verità estetica. E lo segnaliamo il video del brano “Gli angeli di Horlivka” dentro cui regna la regia del regista bielorusso Dmitrij Dedok. Una intervista davvero preziosa quella che segue…
La canzone d’autore torna su stilemi classici. Per te che significato ha? Perché senti di battere sentieri assai classici? Quando pronunciamo queste parole, ci viene sempre in mente il cantautore che ritirato nel suo eremo osserva riflette e scrive. Ci dimentichiamo che dietro ogni canzone, di qualsiasi genere si parli, c’è uno o più autori. Quindi ogni canzone per definizione può essere considerata d’autore. Ma per attenerci in modo più stringente a ciò che mi chiedete rispondo che quella della “classicità” per me è per eccellenza la forma più autentica e praticabile della canzone d’autore. Basta osservarne la genesi. Sin dal medioevo. Se ancora in epoca contemporanea i grandi cantautori (Battisti, De André, Contee, Battisti ecc.) che hanno fatto la storia della canzone d’autore, nobilitandola, hanno scelto quella forma “classica”, un motivo ci sarà. Per quanto mi riguarda, essendo cresciuto con questi insegnanti (definiamoli così) non si è trattato di una scelta, ma di un naturale confluire verso quell’approdo, ripeto, in modo naturale, un po’ come il fiume naturalmente giunge al mare. I presunti artisti e cantautori contemporanei di oggi spinti soprattutto dalla necessità di vendere da parte dei loro manager discografici, stanno stravolgendo il modo di fare musica, e producono dischi al limite dell’inascoltabilità. Il bello è che l’industria musicale così facendo crede di proporre un prodotto di alto livello e ce lo vende come tale, quando invece nella migliore delle ipotesi questa presunta originalità di certi artisti è approssimazione, incompetenza e mancanza di buon gusto, ma ripeto la colpa è soprattutto delle etichette che li mettono su e li presentano come artisti del futuro. Evito di fare nomi. Ma li sapete anche voi. Anzi credo che anche la stampa abbia le sue colpe. Prendete un Ivano Fossati e provate a mettergli vicino uno qualsiasi dei giovani e prodigiosi artisti di oggi. Perché anche voi non assumete una posizione critica contro lo sfacelo artistico del ventunesimo secolo? Per tornare alla classicità, e senza voler infierire sui contemporanei, vi siete mai chiesti perché la letteratura greca e latina continua ad essere studiata nelle scuole superiori a distanza di secoli? Perché Dante, Ariosto, Tasso e Leopardi sono tappe di passaggio obbligatorie nelle scuole medie? Una Dacia Maraini tra 700 anni sarà letta nelle scuole così come accade per Petrarca oggi? Ecco spiegata la classicità che contamina la mia musica.
E se ti chiedessi dell’elettronica e del futuro che bussa alle porte? Il fatto di sentirmi parte di un certo filone musicale, non significa che a priori rifiuto tutto il resto. Ho già un’idea di utilizzare l’elettronica nella mia musica, ed ho in mente anche come e dove, ma sul quando, direi di fare un passo alla volta. Quello appena uscito è solo il mio secondo disco. Di strada da fare ce n’è spero tanta ancora.
Hai mai pensato di contaminarci il tuo suono? Si, ripeto, continuo, molto lentamente per la verità, a scrivere e sviluppare progetti nuovi, spesso a rimettere mano a cose appena iniziate che sono lì in attesa di una rimaneggiata, e c’è anche qualcosa che non guarda sempre e solo ad una idea fissa della forma-canzone. A tempo debito ne riparleremo. Purtroppo un po’, questo è vero, il mio modo di scrivere, ingabbia un pochino l’armonizzazione dei brani, ma è anche vero che una canzone come “Gli angeli di Horlivka” oppure “Dno Dona” con arrangiamenti più sperimentali, diciamo così, non avrebbero alcun senso. Questa questione del suono un tantino retrò mi è stata chiesta praticamente in ogni intervista. Vuol dire che la cosa ha incuriosito. Allora almeno da questo punto di vista siamo riusciti ad attirare un po’ di attenzione (ride). Scherzi a parte, le mie canzoni, queste canzoni nello specifico, di questo album , avevano bisogno di questi abiti musicali. Non di altro. Ne siamo super convinti. È un aspetto che potrebbe sembrare, ad un primo ascolto, trascurato nel disco, invece è stata una delle cose su cui di più abbiamo ragionato. Per mesi. Per non pentircene dopo. E, torno a ripetere, se me lo chiedono in tanti , è segno che un minimo di interesse, questo aspetto lo ha suscitato nell’ascoltatore.
La guerra… l’uomo e le sue relazioni. Una malattia inguaribile? Ho il timore che fintanto che esisterà l’umanità, esisteranno le guerre, finché il più forte si sentirà in diritto di insegnare a vivere, di imporre il proprio modello di vita al più debole piuttosto che promuovere la cooperazione, l’altruismo e l’unione tra i popoli, non ci sarà via di scampo.
Siamo nel tempo dell’avere… questo disco è nel tempo dell’essere. Ti piace come descrizione? Direi che avete centrato il cuore del problema in un modo così diretto e preciso come nessuno prima d’ora e nessuna rivista fino ad ora me lo aveva posto in questi termini. Ogni opera d’arte, un quadro, una scultura, una canzone ecc., è innanzitutto un messaggio. Uno. A cui fanno poi da corollario altri messaggi collaterali, altre idee che sorreggono quello centrale. Ma l’idea fondamentale è sempre una. Io con questo disco sto dicendo esattamente questo. Innanzitutto questo. L’ultima canzone del mio primo disco, si intitola “il dono” parla di ciò che siamo, del dono che abbiamo ricevuto con il nostro arrivo tra altri come noi e di come dovremmo sviluppare quel dono per vivere in simbiosi con gli altri. Sono assolutamente persuaso che ciascuno di noi porti dentro di sé un talento, un’attitudine, una capacità, ognuno di noi incarna una virtù suprema, insomma ognuno di noi è una potenziale eccellenza. Il problema è che nessuno ci dice chi siamo. Il percorso per scoprirlo dobbiamo farlo noi. È attraverso il nostro essere che possiamo operare, agire, interagire e di conseguenza ricevere, ottenere i frutti del nostro lavoro quotidiano. Il mondo purtroppo oggi è fatto a rovescio, si parte dall’avere per giungere ad essere una cosa diversa da ciò per cui si è nati. La moltitudine delle persone, sempre in competizione tra di loro, pensa prima ad ottenere qualcosa che non è ancora in suo possesso e per avere quel qualcosa opera in modo non conforme alla sua natura e così facendo si trasforma in una strana creatura avulsa dalla sua reale e naturale identità.
Bel video. Bella storia. Oggi che morale ci regala? Quella di sempre, l’ho già detto in altre interviste e amo ripetere questa frase quantunque mi capiti: dagli errori del passato l’uomo non trae alcun insegnamento e anzi continua a ripeterli all’infinito. Il video è stato girato in Bielorussia, dal regista Dmitri Dedok. Gli ho chiesto di ricostruire le ambientazioni della seconda guerra mondiale quanto più fedelmente si potesse. La canzone racconta episodi distanti nel tempo (la grande guerra e l’eccidio dei civili del Donbass in corso dal 2014) ma avvenuti nella stessa città di Horlivka, oggi Gorlovka. Ed è dedicato a Kira e Kristina Zhuk. Vittime di una guerra volutamente taciuta e dimenticata dall'occidente.
Articolo del
19/05/2023 -
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