E’ uscito il 21 aprile su tutte le piattaforme digitali, per l’etichetta La Stanza Nascosta Records, l’album “Controluce siamo tutti uguali”, esordio discografico di Jacopo Lorenzon. (Lo abbiamo recensito qui:http://www.xtm.it/DettaglioEmergenti.aspx?ID=22892#sthash.Qz1l41MS.dpbs)
Abbiamo incontrato il cantautore per una chiacchierata sulla gestazione del lavoro e sul suo mondo musicale/artistico.
Hai appena pubblicato il tuo album di esordio, “Controluce siamo tutti uguali” (La Stanza Nascosta Records). Che riscontro stai avendo, a livello di pubblico e di addetti ai lavori?
L’album è uscito in punta di piedi, spinto più dalla voglia di esprimere e lasciare qualcosa di mio che di incontrare il favore o l’ascolto di qualcuno. Per questo mi ha fatto un piacere enorme, un piacere nuovo per me, ogni volta che qualcuno ha avuto voglia di dedicare tempo e attenzione al mio lavoro. Le soddisfazioni ci sono, specialmente perché non erano necessariamente attese.
Quanto c’è di autobiografico nei testi di “Controluce siamo tutti uguali”?
Molto e molto poco. Il disco riunisce una serie di storie lontane tra loro, storie che non parlano di un mio vissuto diretto ma in cui - nelle intenzioni - chiunque possa riconoscere un pezzo di sé. Quanto di mio c’è nei testi sono sicuramente le emozioni che mi è capitato di provare e che ho tentato di raccontare con immagini, personaggi o situazioni vere o verosimili.
Incasellare un disco in un genere musicale è un’operazione culturale sicuramente rassicurante, perché placa una certa ansia classificatoria della critica. Nel caso del tuo primo album però ci troviamo in difficoltà…cosa risponderesti a chi ti facesse la fatidica domanda “che genere fai?”
In qualche modo mi rincuora il fatto che anche per voi non sia semplice definire un solo genere per questo album… Non so dare una risposta a questa domanda che non vada al di là di una forma-canzone in italiano. I singoli brani sono nati e si sono sviluppati in tempi molto diversi tra loro, in cui i miei riferimenti sono cambiati più volte. Credo che le sonorità del disco di ciò abbiano risentito, e in fondo ne sono contento.
Hai paura di possibili stroncature da parte degli addetti ai lavori? Più in generale secondo te la critica musicale (se esiste ancora) è, in questo momento storico, in grado di condizionare i gusti del pubblico e quindi di avere un peso rilevante sulla carriera di un artista?
In tutta onestà, no. Come dicevo prima, mi lusinga il solo fatto che qualcuno abbia voglia di dedicare tempo, attenzione ed energia all’ascolto del mio lavoro. E decida poi di scriverne, di esprimere una propria considerazione a riguardo. Da ascoltatore so che non è una cosa facile, quindi non ho nessuna intenzione di darla per scontata, per quanto possa tradursi in un parere anche negativo. Fa parte del gioco: da una critica costruttiva può nascere qualcosa di bello, di utile.
Dare una risposta alla seconda domanda è molto più difficile, invece. E lungo. Mi sembra di vedere che i meccanismi di creazione e fruizione della musica (e quindi di conseguenza del decretarne o meno un “successo”) siano inevitabilmente condizionati da fattori che con la musica e l’arte hanno ben poco a che fare. Penso che purtroppo la musica abbia visto cambiare la propria natura e la propria funzione intima e collettiva, venendo relegata il più delle volte a sottofondo o riempitivo. Questo, unito alla tendenza a fagocitare senza assorbire, ha portato a un certo appiattimento delle forme espressive. Che non coincide necessariamente con un calo di qualità, ma di pluralità. In questo quadro, fatto di tendenze, viralità e un’offerta pressoché illimitata e continua di contenuti, ha inevitabilmente tolto potere a un certo tipo di critica musicale. Una critica, ottimisticamente, chiamata non a stroncare o esaltare, ma a guidare e forgiare gusti e sensibilità di ascoltatori vecchi e nuovi. Il discorso è ampio e delicato, difficile da esaurire in poco tempo. E però è un discorso molto importante, su cui andrebbe posta un’attenzione maggiore. La critica musicale sana oggi esiste, credo. Credo per lo meno che possa esistere, e debba resistere.
Nel disco si nota un’impronta volutamente artigianale. Da cosa deriva questa scelta stilistica?
Fondamentalmente dal tentativo di realizzare e scrivere qualcosa che mi assomigli. Dal punto di vista di produzione e di suono, questo ha portato Salvatore Papotto e me a scegliere una veste che mantenesse la natura artigianale che le canzoni avevano quando sono nate, difetti e imperfezioni comprese.
Quando hai iniziato a scrivere canzoni?
Qualche anno fa, intorno ai 25 anni direi, ho iniziato a scrivere i primi abbozzi di brani strumentali. Non si trattava di vere e proprie canzoni, i testi sono arrivati molto dopo.
Anche quando poi i brani hanno preso forma non è per me stato facile chiamarli “canzoni”. Ora un po’ più di consapevolezza c’è, anche se il modo di lavorare è rimasto lo stesso.
Parliamo di folgorazioni musicali, letterarie e cinematografiche. Una canzone, un libro e un film che ti hanno “stregato”?
Sono ahimè sicuramente troppi per riuscire ad isolarne uno. Ho da sempre la fortuna di riuscire ad innamorarmi di storie nuove e di diverse forme d’arte: sono “stregato” continuamente, e spero di riuscire a restare curioso e come quando mi sono avvicinato le prime volte a musica, libri e film.
Come ti immagini tra vent’anni?
Non riesco a guardare così in là, in tutta sincerità: non voglio darmi obiettivi in funzione dei quali vivere. Preferisco cercare di godermi il viaggio, questo è l’obiettivo vero. Spero di riuscire a farlo, e quindi - sì, anche tra vent’anni - arrivare a guardarmi indietro soddisfatto e grato delle esperienze che avrò vissuto.
Il cantautore che senti più vicino al tuo mondo interiore?
Anche qui la lista è così lunga che dare una risposta mi sembra un’impresa impossibile.
Sono tanti, e molto diversi. Dovendo scegliere, però, un nome posso farlo: Fabrizio De André. È sicuramente uno degli artisti che più ha segnato la mia vita di ascoltatore, e non solo. Non so quanto possa essere realmente vicino al mio mondo interiore, ma è stato ed è espressione di valori in cui voglio rivedermi, e che mi piacerebbe rivedere intorno a me. Soprattutto al giorno d’oggi.