Dopo un esordio silenziato dal lockdown pandemico, il quartetto del Cheshire ci riprova dando alle stampe in questi giorni MORE THAN THIS, una nuova raccolta composta da inni punk di immediata fruibilità e di cui abbiamo parlato con il cantante Conrad Ellis e il chitarrista Sam Bell.
E’ da 10 anni che siete in giro. Come mai c’è voluto così tanto tempo per emergere? [Sam] Sicuramente ha inciso il fatto che veniamo da una cittadina molto piccola. Nessuno ci ha mai regalato niente. Quindi c’è voluto del tempo. Io e Conrad suoniamo musica insieme da un sacco di tempo, da molto più di 10 anni. Questo è quello che facciamo, è tutto quello che sappiamo fare, è per questo che siamo stati in grado di continuare a suonare per così tanto tempo, perché non sappiamo fare nient’altro. Non c’è nient’altro da fare in questa città. [Conrad] Sì, il fatto è che veniamo da questo paese nel nord-est dell’Inghilterra, non è una città. Non abbiamo avuto il lusso dell’attenzione che ti può dare una grande città, o di una “scena”. Abbiamo dovuto fare un sacco di viaggi verso le città, per essere conosciuti e per crearci una base di fan. Credo che sia necessario lavorare molto più duramente quando vieni da un posto che sta in mezzo al nulla. [S] Siamo stati in tour tutto il tempo. Praticamente siamo in tour fin da quando avevamo 12 anni. Abbiamo realizzato [il primo album] solo poco tempo fa, ma di fatto siamo stati costantemente in tour. [C] C’è anche un elemento che ha a che fare con “l’essere pronti”. Cioè: devi essere pronto, devi avere le canzoni giuste, l’atteggiamento giusto. Devi essere in grado di affrontare la vita “on the road”. E non è stato fin a quando abbiamo pubblicato il primo disco, che abbiamo realizzato che eravamo una band abbastanza buona da far uscire le canzoni che avevamo. Avevamo già inciso un album prima del nostro esordio FALL IN FALL OUT, ma l’abbiamo scartato perché non era abbastanza buono, e abbiamo ricominciato da zero. Quindi c’è questo fatto di “essere pronti”. Ma anche, l’industria discografica è un panorama in costante mutazione. C’è il “selvaggio west” là fuori. Ci sono i tagliagole. E’ pericoloso (ride, NdR). Bisogna essere al posto giusto nel momento giusto. Non conta cosa sai fare ma chi conosci. E a noi queste cose non sono state date. Non siamo nati con la camicia.
Però a un certo punto avete incontrato dei produttori importanti, che hanno dato molto carattere al vostro sound. Come li avete conosciuti? [C] Più di recente, su questo [nuovo] disco, i produttori sono Dan Austin e Adrian Bushby. Sono entrambi dei vincitori di Grammy. [S] Siamo stati molto fortunati, ma vedi, quelli del nostro management conoscono un sacco di gente e, ovviamente, noi scriviamo costantemente canzoni e loro le mandano in giro. E siamo stati molto fortunati che Dan Austin e Adrian abbiano avuto la possibilità di ascoltare le nostre cose. E che poi gli sia piaciuto quello che hanno sentito e che abbiano voluto partecipare a questo disco. E’ stata una vera benedizione. [C] Ma poi, vedi, fare un disco è una cosa così intima e personale. E’ necessario che scatti l’intesa anche su un livello personale, non solo a livello musicale. Quindi, arrivare a conoscersi è molto importante, come anche sapere cosa piace all’uno e all’altro, e cosa non piace. Cosicché un produttore alla fine diventa quasi un altro membro della band. Il fatto è che a volte funziona, ti intendi immediatamente ed è fantastico. Ma altre volte non funziona, ci sono un sacco di intoppi, e allora è meglio salutarsi. La nostra fortuna su questo disco è che Dan e Adrian sono stati dei produttori fantastici. Sono stati molto professionali e ci hanno fatto sentire a casa mentre incidevamo il disco.
A proposito di MORE THAN THIS: la copertina mi è sembrata un rimando ai primi U2. Dato che qualche riff di chitarra mi ha anche ricordato The Edge, si tratta di un tributo intenzionale? [S] No, non proprio! Cioè, quelle copertine degli U2 [di BOY e WAR, NdR] sono fantastiche, ma l’immagine che abbiamo scelto per la copertina è stato l’ultimo scatto di tutto il blocco che ci era stato proposto. Abbiamo dovuto guardare un sacco di fotografie. Ma questa ci è piaciuta perché era così diretta. All’inizio ci dovevano essere altre immagini di sottofondo, un panorama… Ma poi abbiamo pensato che gli occhi [del ragazzino] raccontano tutta una storia, perciò abbiamo scelto quella. [C] Sì, cioè, questo disco è profondamente personale. Come temi trattati va molto in profondità, quindi volevamo che la copertina fosse una rappresentazione dei temi dell’album. Pertanto un ragazzo che dà l’idea di essere sperduto e vulnerabile sembrava l’immagine giusta. Qualcuno dice che gli occhi sono la finestra dell’anima: E quindi… Ci sembrava bello presentare un’immagine che la gente potesse guardare e provare con essa una profonda connessione.
Vi definite un gruppo punk. Ma a “quale” punk esattamente vi riferite? Come suono mi date l’idea di essere stati molto influenzati dai Green Day, e in parte anche dai Muse. [S] A esser sinceri, siamo cresciuti con band come i Green Day. Crescendo, ovviamente suonavamo un sacco di cover di gruppi come i Nirvana, i Green Day e via dicendo. Ma in generale siamo appassionati di tipi molto diversi di musica, e qualcosa di questi nostri ascolti ogni tanto si manifesta nelle nostre canzoni. Ma non è un qualcosa che pianifichiamo, o che ci diciamo. [C] Credo che le nostre influenze filtrino nella musica in maniera subconscia, non è che ci sforziamo a suonare in un certo modo. Ma ovviamente, come hai detto, si può sentire: siamo influenzati da un sacco della band degli anni 90, come i Green Day, i Nirvana, gli Oasis. Ma anche dai Beatles e da altre cose. In generale, da un sacco di “rock’n’roll music”. E credo che si possa sentire. E’ interessante che tu abbia colto quell’ “elemento Green Day”, perché sono stati un’influenza enorme sulla nostra musica.
Da un lato siete stati sfortunati, perché il vostro primo album è uscito in piena pandemia e quindi è passato abbastanza inosservato. Un periodo negativo, da cancellare in toto? [C] Al contrario: ha avuto un impatto molto positivo su di noi come band. Come hai detto, abbiamo firmato il nostro primo contratto discografico, che era con una major, con la BMG durante la pandemia. Però, una volta che è stato pubblicato, non siamo potuti andare in tour per promuoverlo. Tuttavia eravamo contrattualmente obbligati a realizzare un secondo disco. Così, durante la pandemia, siamo potuti andare in studio – dato che era il nostro luogo di lavoro. Grazie a un anticipo della casa discografica abbiamo potuto trasformare la nostra sala prove nel nostro studio di registrazione. Quindi quel periodo è stato una grossa opportunità per stare insieme e ritrovarci come band, come musicisti e come amici. [S] Quello è stato il risvolto positivo, perché ovviamente è stato un periodo spaventoso per tutti quanti. Però, dato che non potevamo fare concerti, è stato importante potersi ritrovare tutti i giorni per focalizzarci sulle canzoni del secondo disco. E poi, quando c’è stata la possibilità di andare in tour con il primo disco, la gente l’aveva avuto per così tanto tempo… C’erano dei nostri fan che avevano aspettato anni per vederci, e dopo aver sentito il primo album, hanno aspettato ancora un sacco di tempo prima di poterci vedere… E’ stato un momento speciale, quello in cui siamo potuti andare in tour a presentare il primo album, assolutamente. [C] Però, per rispondere alla tua domanda, [la pandemia] ha avuto un impatto positivo sulla band, perché ci siamo potuti concentrare sul rendere questo disco nella maniera migliore. Per essere i migliori songwriter e i migliori musicisti possibile.
Hai detto che è un album molto personale, Conrad. In che senso? Qual è la storia che hai voluto raccontare? [C] L’album è una sorta di viaggio, dall’inizio alla fine. Ci sono molti temi, che spaziano dalle relazioni tra individui agli aspetti politici, alle cose che stanno accadendo adesso nel nostro Paese e a quelle che sono le nostre idee in proposito, come esseri umani. In relazione, ad esempio, al fatto che la povertà ha raggiunto un picco massimo al momento. E’ anche una sorta di documento sulla mia salute mentale, come essere umano. Ho scritto dei testi a cui tutti, penso, si possono relazionare. Si parla di salute mentale, di dipendenza da sostanze, di traumi, di aspetti sociali. Ma anche della bellezza della vita, di amore… E’ una sorta di esplorazione della vita. Ed è un disco, in qualche modo, molto positivo. Doveva essere un “concept album” all’inizio, ma abbiamo cambiato idea in corsa, e abbiamo lasciato che le idee fluissero liberamente. Da un punto di vista delle liriche, io cerco di dire delle cose a cui la gente si possa relazionare a un livello personale. E anche, da un punto di vista internazionale, non importa da dove provieni, ma penso che tu possa prendere i nostri testi e provare le stesse sensazioni che provavo io mentre le stavo scrivendo. E se questo aiuta qualcuno che sta soffrendo per via della sua salute mentale, o finanziariamente… Se la nostra musica può aiutarli, be’, è fantastico, perché è a questo che serve la musica.
A parte la sfortuna della pandemia, poi in realtà siete stati anche fortunati, perché state uscendo fuori in un momento in cui il “guitar rock” sembra tornato di moda, in UK e non solo. Vi sentite parte di una “scena”? [C] Non direi che facciamo necessariamente parte di una “scena”. Almeno, non ancora. Quando assisti ai nostri show dal vivo, c’è un’etica molto “punk” in quello che facciamo. E c’è anche un aspetto molto teatrale in quello che facciamo, ovvero: vogliamo che sia la miglior serata della tua vita. Vogliamo che ognuno si diverta un mondo e che lasci le sue preoccupazioni fuori dalla porta. Quindi, c’è un forte aspetto punk in noi quando ci guardi dal vivo, a parte la musica dove c’è un chiaro elemento punk. Ma non direi che siamo ancora parte di una “scena”. Siamo un po’ isolati, e cerchiamo di farci largo in questa “industria” della musica.
Quindi non state pensando di rompere questo isolamento trasferendovi a Londra, come hanno fatto i Fontaines D.C.? Non sarebbe male vivere lì, ma è così caro… e non ce lo possiamo permettere. Però, d’altronde: l’Inghilterra è un Paese molto piccolo, e possiamo arrivare là con due ore di treno o quattro ore di macchina. No suoniamo molto spesso a Londra, ci facciamo un sacco di concerti. Suonare lì è una parte molto importante di quello che facciamo.
E quali sono le vostre sensazioni rispetto all’America? Perché si può dire che il vostro sound sia molto più americano che inglese. [C] Ci piacerebbe senz’altro “invadere” l’America! [S] Ci abbiamo passato sei settimane intanto, è stato un buon inizio.
Avete fatto da supporto a qualcuno o ci avete suonato da soli? [S] Eravamo la headline band, ma suonavamo insieme a un gruppo chiamato Micky James. Lui [il leader] è un artista incredibile, ci abbiamo fatto tutto il tour. Sono di New York o del New Jersey.
In precedenza abbiamo parlato della vostra vasta base di fan. L’avete costruita suonando tantissimo dal vivo, giusto? [C] Suonare dal vivo per noi è l’essenza del nostro lavoro. E vogliamo sempre suonare al massimo, di modo che la gente alla fine possa dire “non riesco a credere a ciò che ho appena visto”, lo dicano ai loro amici, e poi ci sia un passaparola. Questo è ciò che abbiamo cercato di creare. Lo show dal vivo è la parte più importante di ciò che facciamo. [S] Noi abbiamo una sorta di comunità di fan “hardcore”, ragazzi che vanno a un sacco di nostri concerti e che poi sono diventati amici tra loro. Ad ogni modo, lo show dal vivo è il modo migliore per incontrare i nostri fan e stabilire una connessione. Ed è bellissimo sentire direttamente da loro quali sono le canzoni che apprezzano di più, o il motivo per cui l’album li ha colpiti nel profondo. E’ meraviglioso. E’ la parte migliore del nostro lavoro, e anche la più divertente. [C] Per noi è anche il modo migliore per imparare questo mestiere: metterci su un furgoncino, guidare per miglia e miglia e arrivare al locale in tempo per il concerto. E’ l’unico modo per migliorare, suonare a ripetizione dal vivo. Anche le più grandi band del mondo, è così che hanno cominciato: mettendosi insieme in un furgone, come quattro amici, e guidando in giro per il Paese a suonare concerti. E’ quello che hanno fatto i Beatles. E’ quello che hanno fatto i Queen quando hanno iniziato. Tutte queste band enormi, hanno tutte iniziato in un furgone. Noi ne stiamo seguendo la scia… [S] Però noi siamo ancora in quel furgone (ride, NdR). Siamo ancora lì.
Quali sono le vostre band preferite al momento? Cosa ascoltate a parte la vostra musica? [C] Mi piacciono davvero molto gli Idles. Mi piace molto anche un gruppo punk americano chiamato Turnstile. [S] Io non sto ascoltando tante cose nuove al momento. Sono in una fase “Bob Dylan”. [C] Io ascolto i Beatles praticamente tutti i giorni. [S] Anch’io.
Siete molto rock-centrici. [C] Ma no, io ascolto anche un sacco di vecchia musica rap. Mi piace molto. R’n’B, rap , cose così, mi piacciono molto. Come anche un genere che è stato molto popolare in Inghilterra negli ultimi decenni: il Grime, che è una sorta di versione britannica del rap. Mi piacciono SKPTR, Stormzy e cose così. Avevano creato una sorta di scena, era una specie di nuova musica punk a un certo punto. Sono cose, peraltro, che hanno certamente influenzato la musica rock per chitarre. Al 100 per 100.
Le vostre sono canzoni molto radio-friendly. Quando componete avete questo obiettivo in mente? [C] Grazie, trovo che sia un bel complimento. La risposta è: si, e no allo stesso momento. Nel senso che non ci pensiamo subconsciously quando componiamo. Ma allo stesso tempo è bello sapere che hai una melodia accattivante e una canzone accattivante. E come songwriter, mente sviluppi una canzone, ti rendi conto: questa è catchy, questa è canticchiabile… Però in realtà è solo alla fine del lavoro, quando hai finito di incidere, che ti puoi fermare a valutare a bocce ferme quello che hai. Ed è solo allora che puoi vederlo con chiarezza: “questa è un’ottima canzone per la radio”, “questa no”, eccetera.
Ho letto che avevate composto 60 canzoni durante la pandemia. E’ stato difficile fare una selezione di 12 per il disco? [C] E’ sempre difficile! [S] E’ stato facile selezionarne 30 (ride, NdR). [C] Tanto per cominciare, tutti devono essere d’accordo sul concept. E inoltre, un disco deve suonare come un disco, essere un “viaggio”. Quindi devi fare in modo che il mix delle 12 canzoni contenga degli stili diversi, che le tematiche trattate siano diverse… E’ necessario riascoltare tutto un sacco di volte, fare avanti e indietro, fare delle continue valutazioni su quella che è la scaletta migliore, su quali canzoni tagliare. Ma è anche un processo molto divertente, perché analizzi tutto il tuo repertorio e selezioni le canzoni che ti sembrano più “forti”. E’ un bellissimo processo che ti consente di chiarire quali sono i tuoi punti di forza. Abbiamo imparato molto facendolo.
Articolo del
03/10/2023 -
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