Da X-Factor ad un percorso personale. Dal main stream ad un’espressione individuale che accoglie certamente il cliché ma poi lo modifica, lo re-inventa, senza mai allontanare troppo. Lorenzo Bonfanti pubblica “Amare è così”, esordio e natali di una carriera solista che dimostra sin da subito che non è il primo vagito artistico e non è certo ingenuo nelle scelte. Un disco pulito, coerente, forte di decisione soprattutto nelle soluzioni che produce. E poi la voce… sa bene come gestirsi nelle chiuse come nelle dinamiche. Insomma: quando si dice un bel disco di pop d’autore.
Il pop d’autore oggi sembra un poco tornare di moda… che ne pensi? Partiamo proprio dal sociale… Credo che a livello sociale si senta la necessità di tornare a qualcosa di “vero”, che parli alla gente della gente uscendo un po’ dalle dinamiche di quello che oggi viene definito successo: fare soldi, avere una posizione sociale e/o lavorativa elevata, avere potere; ma tutti noi sappiamo quanto sia difficile vivere la quotidianità senza porsi delle domande sul futuro, un futuro che sembra ci sia stato tolto. E nel cercare di raggiungere degli obbiettivi come quelli detti precedentemente ci si dimentica di tutte le piccole cose che ci possono far sentire “di successo” senza doverlo ostentare con gioielli e potere. L’utilizzo di parole in cui ognuno si possa riconoscere fa parte di quella somma di piccole cose che servono a vivere con serenità. La musica d’autore ha il compito di essere una cura, un posto sicuro, ponendo luce su tematiche “semplici” che possano far sognare chi ascolta. La speranza che in quei tre, quattro minuti di canzone ci sia un respiro fuori dal tempo e dalla spazio dove sentirsi semplicemente noi stessi rimane il motore che spinge i cantautori di oggi a scrivere. Questa è la mia, più che opinabile, idea che non vuole certo demonizzare chi pensa al successo come ad una posizione sociale elevata o un conto in banca da urlo. Credo però che i tempi bui che stiamo attraversando debbano insegnarci molto sulla semplicità e su cosa significa amare ciò che si ha.
Che poi questo disco mette tanto le mani dentro classicismi, sia nei tempi che nelle forme… o sbaglio? È un disco che parla di banalità, che se volgiamo definire classicismi va benissimo. L’idea era di creare un legame tra ciò che sono e che vivo e chi ascolta ponendoci tutti sullo stesso piano emotivo. Non ho la presunzione di pensare di essere la voce di una generazione che cerca nell’amore la risposta, ci sono esempi più fulgidi che lo hanno fatto e che lo stanno facendo: volevo dare la mia visione di che cosa sono questi classicismi, questi cliché, che possano essere condivisi da tutti. Ho abbandonato le chiavi inglesi per prendere in mano la chitarra, ma rimango comunque un operaio tra gli operai che cerca di raccontarci per come siamo, di parlare dei tempi e delle forme che formano le nostre vite. Se invece intendi tempi e forme a livello di scelte artistiche credo sia più legato ai riferimenti musicali che ho che mi hanno spinto a scelte di arrangiamento “vecchie” piuttosto che moderne. In tutta onestà avevo la necessità di buttare fuori qualcosa che mi piacesse ma, sicuramente per lavori futuri vorrei che il suono fosse ancora più siano, quasi come una filosofia meccanica, fatta di piccoli ma ingegnosi componenti che lavorano tra loro.
Meno direi nei suoni con una produzione davvero pulita… che cosa hai cercato di raggiungere per davvero? La produzione è stata uscita di getto. Registrando ogni strumento da solo ho pensato più a quale sonorità piaceva a me su ogni pezzo separatamente per poi modellarla dando continuità al disco. Sono molto contento del risultato ma, come dicevo precedentemente, per i prossimi lavori mi piacerebbe avere un suono più scarno e con un po’ di sporcizia, quasi come se fosse un LIVE chitarra e voce. Ho voluto dare importanza ai testi più che alla musica, cercando di essere il più funzionale possibile. La grande difficoltà è stata quella di, come credo per ogni artista che si registra da solo, avere un flusso creativo costante che permettesse ad ogni brano di suonare diverso l’uno dall’altro rimanendo coerenti tra di loro. Ho imparato tantissimo su cosa fare per ottenere il risultato che ho in testa e sto già lavorando in quella direzione ma, devo dire che mi ritengo soddisfatto del mio primo disco di esordio così com’è venuto poiché rappresenta la semplicità con cui affronto le cose ed il messaggio che vorrei far passare.
C’è tantissima sospensione e contemplazione: che sia il disco della maturità dentro cui il tempo deve rallentare per ritrovarsi? È buffo dirlo, dato che sono una persona che convive con il demone del “fare, fare e fare” (ossessionato dall’imparare), ma si: è un disco per prendersi un respiro ampio e godersi venti minuti di sospensione. Mi piacciono sospensione e la contemplazione come termini perché la scrittura necessita di entrambi quei momenti, ed è forse quello che l’amore fa ad ognuno di noi: passare momenti infiniti di sospensione tra noi e le persone che amiamo. Non ho la pretesa che questo disco svolti la vita a qualcuno, semplicemente però mi piacerebbe che gli regalasse un sorriso o un momento di stop dalla vita di tutti i giorni per rilassarsi e lasciarsi andare un po’ di più verso la serenità che ho provato a trasmettere.
Articolo del
01/02/2024 -
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