Il trip hop non è di stanza solo a Bristol, ma ha anche suggestioni tutte italiane. Ne sanno qualcosa i PINHDAR, duo milanese composto dalla cantante Cecilia Miradoli e dal chitarrista/produttore Max Tarenzi, che, sin dagli esordi, mescola sapientemente gli stilemi del genere con oscuri richiami darkwave ed echi elettronici. La loro storia musicale, partendo dalle precedenti esperienze con i Nomoredolls, comincia nel 2019 con la pubblicazione del loro primo Ep omonimo e procede nel 2021 con la realizzazione dell'album “Parallel”, che si avvale della collaborazione del produttore Howie B. “A Sparkle On The Dark Water”, registrato e prodotto da Bruno Ellingham, è l'ultima creatura uscita a marzo 2024 per l'etichetta inglese Fruits de Mer Records, come il precedente. L'album è un ipnotico viaggio sonoro, intenso e mistico, tra le spoglie dell'umanità, e i resti di un pianeta che si interroga sul senso delle cose provando a scovare bagliori di luce anche tra le tenebre più profonde. “We are only humans /Searching for a meaning of life” cantano nel brano Humans e noi, per esplorare le sfumature e i significati del loro ultimo disco e per scandagliare più in profondità la loro visione musicale, gli abbiamo fatto qualche domanda.
Il nome del vostro gruppo rende omaggio alla figura del poeta lirico Pindaro, emblema per eccellenza dell'uso della fantasia atta a costruire vibranti universi immaginifici. Come mai questa scelta e in che modo riflette la vostra musica? Secondo noi la Musica deve portare la mente a viaggiare, che sia un viaggio introspettivo, immaginifico od onirico, ci piace pensare di creare per qualche minuto un ambiente in cui l’ascoltatore si immerge e viene portato via attraverso le emozioni. Ci hanno definito “Creatori di realtà parallele” e Pindaro ne è il poeta simbolo. Non per nulla il nostro primo album si intitolava “Parallel”
Il titolo del vostro ultimo disco, “A Sparkle On The Dark Water”, e anche i suoi contenuti, dall'empatia umana al destino dell'ambiente, sembrano racchiudere una sorta di monito a trovare la luce anche nell'oscurità. Non è così? Assolutamente. Se il precedente album, nato durante la pandemia, aveva in sé un senso claustrofobico e un desiderio di fuga, in “A Sparkle On The Dark Water” si percepisce l’esigenza di trovare la luce laddove ancora si naviga in acque scure. L’uomo, principale causa dei mali per se stesso e per questo Pianeta, è anche l'unico essere capace di realizzare opere meravigliose. Cercare questa luce è un dovere
Come è nata la sinergia col produttore Bruno Ellingham, che in passato ha lavorato tra gli altri con Massive Attack, Portishead e UNKLE? Che valore aggiunto ha apportato al vostro album? Stavamo cercando un suono preciso, che si ispirasse al trip hop di stampo bristoliano a cui poi aggiungere altri nostri ingredienti. Bruno era la persona giusta. Ha collaborato in tutti i dischi che più ci hanno ispirato negli ultimi 20 anni, così dopo una prima fase a distanza di intensa pre-produzione, l’estate scorsa, al termine di un tour in Inghilterra, ci siamo fermati presso il suo studio di Bath per finire le registrazioni. Si è appassionato al disco e si è calato nel nostro mondo intensamente, aggiungendo la sua enorme esperienza ai nostri brani con un gusto e una ricerca dei suoni che ci hanno completato
Rispetto al minimalismo del precedente “Parallel”, “A Sparkle On The Dark Water” sembra esplorare territori ritmici ancor più stratificati, suoni elaborati, che lambiscono non solo il trip hop, ma anche echi darkwave, elettronici e shoegaze. Una cosa che mi colpisce molto tra l'altro è anche questa fusione tra il cantato onirico a la Bat For Lashes e la forma della spoken word a la Lydia Lunch. In che modo convivono tutte queste anime sonore nel disco? Grazie per aver ascoltato con attenzione! In effetti, durante la scrittura e produzione di questo disco, siamo stati sempre esigenti con noi stessi. Volevamo esprimerci senza riserve, cercando di arrivare a dare un senso il più possibile compiuto al nostro lavoro e farne qualcosa che valesse davvero la pena di ascoltare in mezzo alle tante cose che girano oggi. Passando attraverso un periodo di caos iniziale abbiamo trovato l'approccio giusto e quegli apparenti contrasti, quelle diverse anime che hai percepito fanno parte del nostro modo di intendere la musica
Anche la copertina è molto suggestiva. Come è nata? Mentre eravamo in Inghilterra per ultimare l’album abbiamo conosciuto quell’incredibile artista poliedrico che è James Johnston, pittore e grande musicista. Fondatore dei Gallon Drunk, musicista con Nick Cave and the Bad Seeds, che a breve sarebbe partito in tour con P.J.Harvey. I suoi originalissimi quadri ci hanno colpito tantissimo così gli abbiamo chiesto se ce ne fosse uno che poteva rappresentare la nostra musica. E’ stato così generoso da donarci l’immagine che è diventata la copertina dell’album
Parlando un po' di alcuni brani del disco, sia dal punto di vista musicale che testuale. Cosa potete dirmi del brano “Little Light” che ha anche un videoclip molto bello? “Little Light” è la storia di un essere degli abissi cieco, un pesce, che ha bisogno della luce di un altro essere per non andare alla deriva nell’oscurità. La metafora con la necessità di empatia umana è evidente, tutti abbiamo bisogno degli altri. Il video, girato dalla regista americana Telavaya Reynolds rappresenta questa metafora attraverso una coreografia di danza contemporanea realizzata dal coreografo e ballerino messicano Tlathui Maza
E di “Humans”? Brano anch'esso accompagnato da un interessante videoclip E’ proprio in questo brano che si intuisce il tema dell’album: siamo fatti di luce e ombre, ma ci siamo spinti troppo oltre quando in fondo svaniremo come tutto. Sempre Telavaya Reynolds lo ha rappresentato con una coreografia di danza in bianco e nero proprio per sottolineare questo dualismo in un crescendo di immagini molto suggestivo
Mentre a proposito di “Murderers of a Dying God”? È’ un pezzo a cui teniamo molto, e Bruno ha insistito perché convogliassimo tutte le idee musicali che avevamo concepito per il pezzo, sviluppandole in un’unica “rock opera”. Rappresenta l’urlo del Pianeta e dei suoi abitanti non umani, e si chiede perché lasciamo che ci sia sofferenza e distruzione tentando di darsi risposte, in particolare nella parte spoken
Durante i concerti siete affiancati da un batterista e vi avvalete di visual video. Tra l'altro avete avuto in passato esperienze dall'altro lato del palco, organizzando il festival A Night Like This. Ma quanto conta per voi la dimensione live? È anche un modo per creare una sorta di universo sonoro parallelo a quello che si ascolta su disco? Per noi il live rappresenta il momento in cui la parte creativa e artistica si fonde con l’ascoltatore. Noi e chi ascolta veniamo proiettati in quel viaggio di cui parlavano all’inizio. Lo facciamo insieme insomma e ci possiamo quindi spingere molto lontano. Se riusciamo a fare questo siamo stati bravi :) Dal vivo siamo in 3 con batterista e, per immergere ancora di più chi ascolta nei nostri universi paralleli, ci avvaliamo dei visual audio reattivi creati per noi in 3D dal visual artíst di Milano Fabio Volpi
Per concludere, viste anche le tematiche dell'album, secondo voi, può la musica essere un buon viatico per riuscire a scovare la luce nel buio di questa umanità? Chiunque possiede un mezzo di comunicazione può provarci e la musica è il modo di comunicare più immediato. Se si riuscisse a portare anche solo una scintilla, avremo fatto nel nostro piccolo la nostra parte.
Articolo del
13/05/2024 -
©2002 - 2024 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|