A dispetto delle mode e degli scettici e nonostante i 40 anni di sfasatura temporale rispetto ai suoi remoti fasti, il rock progressivo “tira” ancora alla grande. Ne sono prova le oltre 25.000 presenze registrate alla Casa del Jazz durante la sei-giorni di questa edizione (la 17ma) di Progressivamente, la rassegna organizzata come sempre dall’ultimo dei prog-mohicani, il benemerito Guido Bellachioma. E 2.000 sarebbero i numeri effettivi di stasera, riferiti a quanti sono accorsi per (ri)vedere dal vivo Banco e Orme, ovvero due - dei quattro(?) – principali alfieri storici del prog tricolore, se non fosse che per motivi di sicurezza il Parco della Casa del Jazz più di 1.500 non ne può contenere, il che ha costretto 500 sventurati ritardatari a restare relegati fuori dalle mura (qualcuno però, è riuscito a imbucarsi come ai vecchi tempi). Bellissimo quindi il colpo d’occhio all’interno, con una folla straripante e inattesa, un mosaico intergenerazionale in cui si incrociano sia canuti sessantenni che imberbi dodicenni: padri madri e zii, come prevedibile, ma anche figli e nipoti e una vasta rappresentanza della generazione di mezzo, quella della new wave e del grunge, venuta per una sera a omaggiare coloro che del rock tricolore sono i riconosciuti pionieri.
L’inizio, dopo una – giustamente - autocelebratoria introduzione di Bellachioma e di Giampiero Rubei (presidente della Casa del Jazz), è affidato a Le Orme, che però vantano un unico, solitario membro originale nella figura del batterista Michi dei Rossi. Aldo Tagliapietra, allontanatosi dal gruppo due anni fa, è stato rimpiazzato dal romano Jimmy Spitaleri - dei Metamorfosi: vi dice nulla il nome? - che con i suoi lunghi capelli argentei e la sua mise barocca pare proprio un druido di un'antica fiaba celtica. Tecnicamente Spitaleri, aldilà di alcune spiccate tendenze metallare, è un ottimo vocalist e vola al di sopra di qualsiasi critica, ma l’assenza di Tagliapietra si fa sentire parecchio, dato che oltre ad essere stato il fondatore della band veneziana, ne era anche l’”anima” e la memoria storica. Senza di lui, peraltro, il set de Le Orme è concentrato tutto sul recentissimo La via della seta, un’opera che pochi dei presenti conoscono, e solo nel finale l’attenzione del pubblico viene ridestata da un’efficace sintesi in medley dei brani contenuti in Felona e Sorona, storico LP datato 1973.
Ben più efficace è l’approccio del Banco del Mutuo Soccorso, la formazione romana che tra qualche mese festeggerà i 40 anni dall’uscita dell’eponimo LP d’esordio, quello che anche i sassi conoscono come “l’album del salvadanaio”. Nel loro caso i membri originali sono due ma si tratta – in senso non solo figurato, data la stazza - di due pesi da novanta: il tastierista Vittorio Nocenzi, autore di tutte le musiche, e Francesco Di Giacomo: ergo, il miglior vocalist italiano di tutta l’epoca progressive. A loro si aggrega poi, nella parte finale del concerto, il chitarrista Rodolfo Maltese, che entrò nel Banco nel 1973 e che pian piano sta passando la mano in maniera “soft” al collega più giovane Filippo Marcheggiani. Nocenzi e Di Giacomo giocano in casa e si vede (e si sente). Appaiono rilassati e in vena di boutades, e il pubblico tributa loro una serie di sentite ovazioni, anche perché la setlist è incentrata sul meglio del meglio che il Banco del Mutuo Soccorso abbia prodotto nella sua storia. In breve: il grosso del concerto è basato sui tre dischi iniziali della band, quelli curati dal grande produttore (e talent-scout) Sandro Colombini: Banco del Mutuo Soccorso e Darwin (entrambi del 1972) e Io sono nato libero pubblicato nel 1973, prima che Nocenzi, Di Giacomo & Co. cedessero alle sirene d’oltremanica espatriando alla Manticore (l’etichetta di Emerson Lake & Palmer). Un’avventura con più luci che ombre da cui tornarono - con qualche livido - per ritrovarsi un po’ spiazzati quando il progressive aveva già imboccato la china discendente, e a quel punto gli fu difficile tornare a emergere. Rispetto a quei dischi, manca il pianoforte del fratello di Vittorio Nocenzi, Gianni (andatosene nel 1984), ma forse è anche un bene, perché certi fraseggi sono ottimamente resi dai fiati di Alessandro Papotto, che conferiscono al suono una compattezza e una modernità assenti negli originali. Passano in rassegna, quindi, tutti i classici del tempo che fu: Canto nomade per un prigioniero politico, Traccia 2, L’evoluzione, 750.000 anni fa l’amore, fino a chiudere con la focosa R.I.P., cavallo di battaglia del lontano 1972 che nulla aveva (e ha) da invidiare ai migliori Emerson Lake & Palmer. Depurati da certi eccessi deteriori dei primi anni Settanta (interludi onanistici, assoli di batteria ecc. ecc.) i vecchi brani stasera offrono una resa ottima e direi (quasi) essenziale. E l’ugola di Francesco Di Giacomo, neanche a dirlo, è sempre superlativa.
C’è ancora tempo per la prevista e preannunciata unione su un unico palco del Banco e delle Orme, per una jam session che sfocia nell’esecuzione corale di una delle due indimenticabili canzoni “pop” partorite dal progressive italiano (l’altra è Impressioni di settembre della PFM): Non mi rompete, ovviamente. Poi cala definitivamente il sipario sull’esibizione del Banco, oltre che sull’edizione 2011 di Progressivamente. Una rassegna che, dato il successo, sarà certamente ripetuta il prossimo anno, magari con la ciliegina sulla torta del concerto per celebrare il quarantennale del disco del “salvadanaio”: probabile - anzi, quasi certo - che Nocenzi, di Giacomo & Co. (e Guido Bellachioma) ci stiano già pensando...
Articolo del
13/09/2011 -
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