Il 12 e 13 luglio lo stadio San Siro di Milano si è dematerializzato per entrare nella realtà virtuale dei Muse, diventando il palcoscenico dove Matt Bellamy, Dom Howard e Chris Wolstenholme, hanno introdotto la folla nel ciberspazio più profondo, fatto di laser, occhiali futuristici, robot spaziali e tanta, tanta musica rock.
Se c’è una cosa da fare quando si inizia ad ascoltare i Muse è vederli live.
La band inglese, messa sotto contratto nel 1997, ha incominciato a suonare live già dal 1992, nella loro citta natale, Teignmouth, nella contea del Devon (UK). Da allora non hanno mai smesso.
Hanno passato la loro vita sul palco ed è così che hanno raggiunto il successo. Suonando di città in città, fino a raccogliere centinaia di fan, prima in Inghilterra, poi in Francia e poi in tutta Europa. E oggi in tutto il mondo. Vedere i Muse live è imprescindibile, se si vuole comprenderli a fondo.
Una band che dal vivo dà il suo meglio e si ha l’impressione che la venue sia sempre troppa piccola per loro, che la musica inizi a graffiare le pareti, a colpirle, a sfondarle.
San Siro, che ha ospitato i Muse la prima volta nel giugno del 2010, con la sua maestosità e i suoi tre giganteschi anelli di spalti che si innalzano al cielo fino a sfiorarlo, sembra anch’esso appena sufficiente per contenere la potenza di fuoco di un loro show. Anche quest’anno i tre inglesi non si sono smentiti. Ma partiamo dall’inizio.
C’è sempre molta aspettativa per ogni tour dei Muse e con l’ultimo album Simulation Theory (2018) e le anticipazioni della band su Instagram, si aveva l’impressione di poter assistere davvero a uno show con una grandissima carica visiva e tecnologica.
Lo spettacolo parte bene incominciando dalle band di supporto, che sono sempre scelte con cura: il 12 Luglio hanno aperto i Mini Mansion, una band di Los Angeles, California, fondata, tra le altre cose, dal bassista dei Queens of the Stone Age, Michael Shuman, nel 2009. A seguire gli inglesi The Amazons, miglior rock band nel 2017; e per la data del 13 luglio, è salito sul palco Nic Cester, fondatore del gruppo australiano Jet, che ha raccolto parecchi consensi, riscaldando a dovere il pubblico.
I Muse arrivano puntuali sul palco, entrambe le sere, alle 21:15. Un’entrata trionfale, fra fumo, laser e ballerini, il frontman Matt Bellamy inizia a cantare nascosto sotto il palco e poi appare al centro del parterre sulle note di “Algorithm” (nella versione Alternate Reality), vestito come il protagonista di un videogioco: giubbino luminoso, occhiali futuristici, un esoscheletro che gli riveste il braccio sinistro. Il tema dello show, la realtà simulata, è introdotto magnificamente.
Il palco è semplice ma imponente, un mega schermo (ma proprio mega) e grappoli di casse che hanno fatto il loro dovere anche in un ambiente enorme e dispersivo come San Siro, una passerella che attraversa per lungo il parterre per terminare su una piattaforma al centro di esso. Lo spettacolo visivo è meraviglioso, sia che ci si trovi nel prato o sugli spalti. Per come è stato confezionato lo show, la visuale più completa si ha certamente dalle tribune centrali, anche da molto in alto è letteralmente impossibile staccare gli occhi dallo schermo.
La scaletta proposta è assurda, sono previsti tantissimi brani. Infatti lo show è mediamente più lungo del solito, due ore piene, che hanno e mantengono un passo pazzesco. La grande differenza di questo tour rispetto agli altri è la velocità, il ritmo: due ore sfilano in un istante, non c’è sosta, tutto procede a un ritmo incalzante che non dà tempo di respirare, ma allo stesso modo è estremamente godibile, un divertimento in crescendo dove ogni canzone proposta sembra la chiusura del concerto stesso. Un concerto rock che ha sicuramente il passo di un grande show pop.
La set-list, come in ogni live dei Muse, è incentrata sull’ultimo album; i pezzi nuovi, che si distinguono per la forte ritmica, suonati live sono una vera sorpresa.
E’ risaputo che i Muse dal vivo sono forti come una band di dieci persone, pur essendo solo in tre, e l’hanno ampiamente confermato. La performance del batterista Dom Howard ha superato qualsiasi aspettativa,< oscurando, in parte, anche i famosi fischi delle chitarre di Matthew Bellamy. Del frontman, in questo tour, quello che stupisce è la voce. Soprattutto nelle parti in falsetto, Matt Bellamy è migliorato tantissimo, con una precisione notevole su canzoni che non sono affatto semplici da cantare e tantomeno da interpretare.
The Dark Side, ad esempio, con le sue parti melodiche alternate all’elettronica, sentita live è un vero portento, come anche Thought Contagion e Pressure, dal cantato pop davvero difficile, Matt Bellamy non perde un colpo, tirando fuori una voce e un ritmo che non gli si era mai sentito. Almeno non così esplicitamente. Come su Knights of Cidonya, dove il chitarrista da sfoggio di tutte le sue capacità canore nella parte in falsetto inziale, da ascoltare a occhi chiusi se si vuole entrare in estasi, difficile da distinguere da una chitarra elettrica.
Ma i Muse hanno dato spazio (menomale) anche ai pezzi vecchi: a parte i (meno) recenti Madness, Time is Running out, e Starlight, che rimangono molto gradevoli, ma per i fan di vecchia data spesso utili per controllare che le foto sullo smartphone siano venute bene, le scelte ricadute sulle vecchie glorie hanno, in parte, lasciato l’amaro in bocca.
Sono state eseguite per intero Plug in Baby, Hysteria e Take a Bow in entrambe le date. Suonate egregiamente, in maniera classica, pezzoni che dal vivo hanno sempre il loro perché, ma, per chi ha vissuto più di un concerto, sarebbe stato bello sentire qualche virtuosismo in più. Il 12 luglio, sulle prime note della storica Bliss, tratta dal secondo album dei Muse (Origin of Simmetry, 2001), una parte dello stadio è esplosa, ma l’altra parte è rimasta quasi muta, come molto spesso succede quando una band canta da vent’anni ormai ed è conosciuta al grande pubblico (purtroppo) per i pezzi più recenti. La canzone è stata sostituita, nella seconda data, con la più recente Undisclosed Desires.
Lo show procede con un ritmo pressante, nemmeno quando Matt Bellamy scende dal palco su Mercy per salutare i fan ci si rilassa, perché il pubblico è sommerso da una montagna di coriandoli e stelle filanti che rendono coreografico ed emozionante il momento.
Si procede verso le battute finali di uno show che non ha dato tregua e si arriva al tanto aspettato e contestato metal medley: un mix di alcuni pezzi storici della band: Stockholm Syndrome, Assassis, New Born e le più recenti The Handler e Reapers. In sé il medley è esplosivo, molto piacevole, velocizza ancora il passo del concerto, il pubblico impazzisce, l’atmosfera è molto intensa, quasi densa. Ma... Sì, c’è un ma. Il medley funziona forse per chi non ha mai sentito live i Muse, per chi li vede per la prima o seconda volta. Ma per chi conosce la potenzialità di canzoni come New Born o Stockholm Syndrome dal vivo, che sono sempre durate dai cinque agli otto minuti, con bordate di chitarra da fare saltare il cervello, ecco, sentirle tagliate e ridotte e inserite in un medley, seppur molto interessante, fa rimanere un poco male. Si sente che manca qualcosa.
Sulla chiusura, a dire poco epica, con Man with Harmonica (di Ennio Morricone) + Knights of Cydonia, nulla da dire, eccezionale, peccato che il tutto non sia stato proposto come encore: due ore di fila di concerto seguite da una chiusura imponente ma veloce, hanno dato l’impressione di frettolosità, anche se in realtà non è stato così.
Uno show nel complesso da non perdere, perché i Muse dal vivo difficilmente deludono. Con Simulation Theory hanno spostato l’asse del loro modo di comunicare su un passo più veloce, più ritmico, più visivo. Potenza, grinta, professionalità e una produzione massiccia hanno compensato i grandi pezzi rock mancanti, così che, anche gli appassionati di vecchia data ne potranno uscire soddisfatti.
Il tour prosegue il 20 di Luglio allo stadio Olimpico di Roma, ultima data italiana: prepariamoci ancora a vivere due ore fuori dal mondo per rimanere estaticamente intrappolati nella realtà virtuale dei Muse.
Set list 12 e13 luglio Stadio Meazza – San Siro Milano Algorithm (alternative reality version) Pressure Psycho Break it to me Uprising Propaganda Plug in baby The dark side Supermassive black hole Thought contagion Bliss ( sostituita da Undisclosed Desires il 13 Luglio) The Second Law: Unsustainable Dig Down (gospel) Madness Mercy Time is running out Dom e Chris Instrumental Take a bow Starlight Algorithm Metal Medley (Stockholm Syndrome, Assassis, New Born The Handler, Reapers) Man with Harmonica + Knights of Cydonia
Articolo del
17/07/2019 -
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